Hydria con scena di pirati tirreni trasformati in delfini

Villa san Giovanni in Tuscia CULTURA
Micaela Merlino, archeologa-giornalista

Poco si conosce delle divinità tipicamente etrusche, cioè di quelle venerate prima che in Etruria si verificasse un massiccio influsso culturale greco (e poi romano), che determinò notevoli conseguenze anche nel campo religioso.

Tuttavia alcune importanti informazioni provengono dai reperti archeologici, anche se la loro interpretazione pone spesso dei problemi di non facile soluzione. Come è noto gli Etruschi coltivarono sempre uno stretto rapporto con il mare, furono abili navigatori, mercanti e, secondo gli storiografi sicelioti del V secolo a.C., scaltri pirati. Anche i fiumi ebbero in Etruria una notevole importanza economica, politica e religiosa, e alcuni di questi all’epoca erano navigabili. E’ lecito ipotizzare che esistettero originarie divinità etrusche del mare, dei fiumi, delle sorgenti, ma esse non sono precisamente note. Preziosa è, comunque, la testimonianza offerta da alcune monete di bronzo coniate in diverse zecche cittadine, che sebbene siano di un’età avanzata della storia etrusca (IV secolo a.C.), forse portano l’eco di un’antica divinità del mare. Infatti sul dritto è raffigurata una testa maschile barbata con un copricapo a forma di muso di delfino, animale che allude al mare, e questa iconografia sembra escludere che si tratti della rappresentazione del dio greco Poseidon (Poseidone); sul rovescio della moneta è raffigurato un altro animale marino, l’ippocampo.

La presenza dei delfini forse non richiamava solo in modo generico l’ambiente marino, ma è possibile che fosse collegata ad un mito che i Greci avevano elaborato circa i Tirreni (Etruschi). Infatti nell’VIII “Inno Omerico”, detto “Inno a Dioniso”, viene raccontata una mirabile vicenda: il giovane dio Dionysos (Dioniso) fu rapito da alcuni pirati etruschi, e per vendicarsi dell’affronto subìto li trasfromò in delfini. Questo mito compare su alcuni vasi greci già nell’ultimo trentennio del VI secolo a.C., ma non tutti gli studiosi sono propensi a riconoscere nei pirati Tirreni gli Etruschi, perché pensano, piuttosto, ad un popolo che abitava un’isola dell’Egeo settentrionale.

Da Vetulonia provengono monete di bronzo che sul dritto recano una testa maschile dai tratti giovanili, con un copricapo fatto con la pelle di un mostro marino, mentre sul rovescio è raffigurato un tridente. La presenza di questo attributo fa pensare che il personaggio raffigurato sia da identificare con il dio romano Nettuno, tuttavia alcuni credono che il tridente sia stato in realtà aggiunto ad una divinità di origine etrusca, protettrice della città di Vetulonia. Comunque in altri casi gli Etruschi mutuarono dai Romani il dio Nettuno (Nethuns in lingua etrusca), che ebbe una certa importanza poiché a lui sono riservate due caselle nel c.d. “Fegato di Piacenza”, mentre nel “Liber linteus” da Zagabria è ricordato un rituale dedicato a Nethuns.

In Etruria ebbe successo iconografico una divinità del mare di origine greca spesso raffigurata su bacili ed altri oggetti di bronzo, medaglioni, vasi, metope dei templi. E’ Acheloo il cui nome forse derivava dalla radice ach, che significava “umido”. Figlio di Oceano, il dio compare già in Omero, era padre di numerosi figli e figlie, tra cui le Sirene e le ninfe fluviali ed era venerato soprattutto nel santurio di Dodona. Acheloo erano anche chiamati diversi fiumi in Grecia, il più importante dei quali sgorgava da una sorgente ai piedi del monte Pindo in Epiro, il quale dopo un percorso di circa 220 km. verso sud sfociava nel Mar Ionio di fronte alle isole Echinadi (oggi il fiume è chiamato Aspropotamos).

Da alcune tombe delle necropoli di Tarquinia provengono lacunari di bronzo, forse in origine decorazioni di mobili, della fine del VI-inizi V secolo a.C.. Sono oggetti a forma di umbone di scudo concavi al centro per ospitare, in genere all’interno di una corolla baccellata, la protome di Acheloo o anche protomi di leone o ariete. Il dio è raffigurato con una barba lunga a punta e gli occhi erano di pasta vitrea. Questa iconografia trova un puntuale confronto con la raffigurazione del dio su alcune antefisse, rinvenute a Cerveteri.

Sul dorso dello splendido lampadario etrusco di Cortona, datato o alla metà del V secolo a.C. (R. Bianchi Bandinelli) o alla metà del IV secolo a.C., compaiono sedici beccucci nei quali veniva immesso l’olio per l’illuminazione, retti da otto Sileni itifallici e da otto Sirene. Tra un beccuccio e l’altro sono raffigurate sedici protomi di Acheloo, in forma di tori androcefali. Forse gli Etruschi erano in grado di comprendere il significato di questa strana forma delle teste di Acheloo, perché conoscevano il mito. Infatti in Grecia si raccontava che Acheloo avesse ingaggiato una lotta con Eracle per aggiudicarsi la mano di Deianira, e che per vincere l’avversario si fosse trasformato in un uomo con la testa di toro. Ma fu vinto da Eracle, che gli strappò pure un corno.

Anche nel lampadario compaiono dei delfini, sono raffigurati nel registro decorativo più interno, e alludevano alla presenza dell’Oceano, ma forse anche al mito di Dioniso e dei Tirreni sopra ricordato. Va sempre tenuto presente che quasi mai una civiltà mutua elementi culturali da un’altra senza modificarli in parte, e senza adattarli alle proprie necessità materiali o spirituali. Gli Etruschi hanno mutuato molte divinità soprattutto dal pantheon greco, ma allo stesso tempo qualche caratteristica dei loro antichi dei è rimasta in vita, dando origine ad una singolare commistione, che però non è sempre facile decodificare.

 

 

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