Francesco Mattioli

Beh, detto così l’amico Andrea Stefano Marini Balestra ha ragione: i sindaci sono stati eletti da una minoranza, anche quelli che hanno ricevuto quasi due terzi dei voti, come Gualtieri. 

Un vulnus alla democrazia? Dipende.

Se ne diamo una interpretazione statistica, c’è un potere minoritario, non rappresentativo di una maggioranza assoluta. Ma la democrazia è soprattutto libertà di espressione. E in questo caso le urne a disposizione, per scegliere o non scegliere, lo testimoniano comunque.

E’ meglio un sindaco che emerge comunque da una libera elezione, o un sindaco votato coattivamente, come avveniva e avviene in certi regimi totalitari, dove la quasi unanimità è più che altro un vulnus non solo alla democrazia ma anche all’intelligenza umana?  

Certo, la disaffezione al voto è un segnale su cui la politica deve interrogarsi. Troppo ritualistica, troppo autoreferenziale, troppo elusiva, troppo litigiosa (piuttosto che criticamente conflittuale), troppo compromessa perché qualcuno non le giri le spalle, più scettico che deluso.

Ne è prova il fatto che in alcuni più piccoli comuni, dove la personalità dei candidati, il rapporto diretto con gli elettori, la campagna elettorale fondata su fatti concreti hanno coinvolto direttamente l’attenzione e gli interessi della collettività, la percentuale dei votanti è stato molto alta.   

Comunque, i sindaci eletti in realtà avranno tutti i poteri del caso per rivoluzionare l’amministrazione della città, se solo lo vorranno o lo sapranno fare; non hanno alcuna limitazione formale e la loro legittimazione proviene dalla Costituzione.  Nessuno di loro si dovrà sentire non rappresentativo, perché chi non è andato alle urne è comunque nel torto. 

Elettori scettici?

Preferiscono l’anarchia?

Preferiscono un capo imposto?

Un influencer mediatico?

“Se non ti interessi di politica, sarà la politica ad interessarsi di te”, recita il famoso detto, rimpallato tra Pericle e Ralph Nader e ripreso da Kennedy e Luther King. Eppure, voglio ricordare che in quella che, a ragione o a torto, viene considerata la democrazia più grande del mondo, l’affluenza alle urne è sempre stata limitata, che si trattasse di eleggere Roosevelt, Eisenhower, Kennedy, Bush o Obama alla presidenza, o Schwarzenegger a governatore della California.

Se Gualtieri a Roma, Sala a Milano, Lo Russo a Torino  o Dipiazza a Trieste – ma anche De Santis a Montefiascone o Aquilani a Vetralla  - vogliono risolvere il problema dei rifiuti, dell’ordine pubblico, delle periferie, dei giovani o dello sviluppo economico, hanno tutti gli strumenti, ideali, progettuali e politici, per farlo.

Non glielo negheranno quelli che sono rimasti neghittosi a casa nei giorni del voto. Semplicemente, non se lo possono permettere. Semmai glielo potrebbero negare proprio quelli che li hanno candidati ed eletti, se volessero passare all’incasso. Ma questo è un altro discorso…

 

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