Viterbo STORIA IMPERDIBILE

Leggere i ricordi che tanto gentilmente Fabio Ernesti mi invia, mi convincono sempre più che muore chi non viene più ricordato. Giovanni, Renato, Rodolfo, tratti di storia vera, autentica, quella storia che io scrivo con la esse minuscola, perché è quella di tutti i giorni, quella che ha reso Viterbo fiera e orgogliosa dei suoi cittadini. Garibaldi a Viterbo ha segnato, sì, la storia con la esse maiuscola, ma è ricordato da una fredda lapide, i nostri concittadini, grazie a Fabio, li terremo sempre nel nostro caldo cuore! (m.g.)

Cartoncino pubblicitario della ditta Giovanni Costantini
dei primi anni 1900 con fregi Liberty (Archivio Mauro Galeotti)

Al numero 8 del Corso Vittorio Emanuele, oggi Italia, esisteva la Pellicceria Costantini che, situata di fronte al Caffè Schenardi, occupava una posizione veramente centrale nel contesto cittadino.
Nel 1896 Giovanni Costantini aveva aperto un emporio in via Cavour, al n° 11, sotto palazzo Brugiotti, nel quale vendeva chincaglierie, biancheria, passamanerie, camicie, colli e polsi, cravatte, filati, giocattoli, stoffe, merceria, casalinghi e capi di pellicceria.
Con il passar del tempo, intensificò quest’ultimo genere tralasciando gli altri.
Giovanni mori nel 1928 lasciando l’attività ai due figli Renato e Rodolfo che proseguirono il percorso tracciato dal genitore.

 

I due fratelli aprirono anche una succursale in via Roma e poi, alla fine degli anni trenta, trasferirono la sede principale per il Corso, subentrando alla titolare di una pellicceria che qui già aveva sede, e chiusero la succursale.

Il negozio del Corso era arredato con mobili di legno di noce, intagliati in stile liberty, con decorazioni floreali in ottone, opera dell’artigiano Giuseppe Proietti che li aveva realizzati nel 1906.
Il locale, adiacente alla porta d’ingresso, presentava una vetrina di forma triangolare, con piedistallo di marmo e finiture di legno, al cui interno un manichino di donna a grandezza naturale indossava una pelliccia (che periodicamente era sostituita) e nelle mensole di cristallo erano esposte borse, guanti, cinture.

All’interno del negozio, negli alti armadi a vetri sulle pareti, era esposta la merce migliore: portafogli, cinture, borse di coccodrillo e di pellami pregiati.
Dietro al banco di vendita, in marmo rosa con ripiano di cristallo, l’armadio degli ombrelli e dei bastoni.

Per gli ombrelli, i fornitori erano due ditte artigianali che producevano pezzi unici. Per gli uomini con tessuto in tela o seta, marrone o nero, manico in legno pregiato, dodici stecche. Per le signore, prodotti altrettanto eleganti, con manico raffinato d'argento.

I bastoni erano di legno pregiato e con impugnature importanti di osso, di corno, di bambù.
Di fronte al banco erano collocate due poltroncine rivestite di velluto verde, attraverso un ingresso, coperto da una tenda, anche questa di velluto verde, si accedeva nel retrobottega dove trovava posto una scrivania antica e sue sedie; in un grande armadio a parete a otto ante erano riposte le pelli e le pellicce confezionate.

Di quest’ultime esisteva un discreto assortimento, ma il negozio era specializzato per confezionare il modello su misura.
In pratica la cliente decideva il tipo di pelliccia (visone, astrakan, volpe, etc), le erano sottoposti alcuni mazzi, se non erano di suo gradimento, i titolari li procuravano altri in breve tempo presso i grossisti, e quando la cliente aveva scelto, si passava al modello.

Dopo aver consultato vari figurini, individuato il modello prescelto, si passava a realizzarlo in tela che, dopo un paio di prove, era passato al laboratorio insieme alle pelli, firmate sul retro dalla cliente. Quest’ultima formalità attestava la serietà del commerciante il quale forniva alla cliente la garanzia che fossero adoperate le pelli da lei scelte.

La pelliccia era messa in prova, in altre parole indossata dalla cliente per verifica e apportare eventuali correzioni e modifiche, per poi esser definitivamente terminata dopo aver montato la fodera di seta con il monogramma ricamato.
Si trattava di un lavoro artigianale di alto livello che era realizzato nel laboratorio Rossetti, uno dei migliori di Roma.
Una pelliccia durava per tutta la vita, anche perché, trattandosi di ottime pelli, si poteva rimettere a modello.

I fornitori delle pelli erano importanti grossisti: a Bologna la ditta International Fur, a Milano l’Anglo Italiana, con succursale a Roma in Largo Argentina.
Presso di questi, i fratelli Costantini godevano di fiducia illimitata, perché considerati clienti onesti e solvibili.

I due titolari erano inseparabili, avevano trascorso la vita insieme, i genitori erano entrambi morti nel giro di due anni e loro, poco più che ventenni, erano subentrati alla gestione del negozio ed erano rimasti ad abitare in via Cardinal La Fontaine n. 20.

La casa di famiglia era su due piani, aveva un ampio tinello a pianterreno, con strutture di pietre di peperino, dal quale si accedeva nella sottostante cantina e di un altro ampio locale adibito a garage.

Il primo piano della casa era la zona giorno, grande sala da pranzo, spaziosa cucina, ripostiglio, bagno, studio, e camera da letto della domestica. Al secondo piano tre grandi camere da letto e un bagno.
La gestione della casa era affidata all’anziana zia Sargeri, titolare di un laboratorio di sartoria di alta classe sito in un palazzetto poco distante, ed era coadiuvata dalla fida domestica e per le altre attività dal casengo.

I due fratelli conducevano la vita di celibi benestanti coltivando le loro passioni: Renato la caccia e Rodolfo le automobili e il gioco delle carte.
Renato aveva sempre una coppia di cani da caccia con i quali partecipava alle battute con gli amici.

Rodolfo si vantava di avere la patente automobilistica numero 3 della Provincia di Viterbo.
Il territorio di Viterbo faceva parte della Provincia di Roma. La provincia autonoma fu costituita solo nel 1927, anno in cui Rodolfo, ventunenne, conseguì la patente automobilistica per prestare servizio militare nel corpo degli autieri.

Renato prestò servizio militare con il grado di s.ten.di cpl e allo scoppio della Seconda guerra mondiale fu richiamato, promosso prima tenente e poi capitano, e il suo reparto venne impiegato in Jugoslavia e nel fronte italiano.

Fu in occasione della sua permanenza in Jugoslavia che a Sebenico conobbe Olga, una bellissima ragazza che diventò sua moglie, e dal loro matrimonio nacque la figlia Giovanna.

Rodolfo, ormai trentaseienne, nel 1942 sposò Assunta Della Femina, affascinante ventiduenne, figlia di un ferroviere, la cui famiglia abitava in un villino di via Col di Lana; dal loro matrimonio nacque Bernardina (sempre chiamata Dina) e dopo cinque anni, Giovanni (sempre chiamato Nanni).

Il periodo bellico fu duro, come per tante altre persone, Renato fu trattenuto per cinque anni sotto le armi e Rodolfo dovette proseguire l’attività commerciale, occupandosi delle due famiglie e della zia.

Col dopoguerra iniziò la ripresa e la volontà di migliorare, quello che fu chiamato il boom economico, le persone lavoravano, guadagnavano e volevano togliersi soddisfazioni, l’automobile, gli elettrodomestici e la pelliccia.

L’attività prosperava, il negozio era conosciuto in tutta la Provincia e annoverava clienti anche a Roma.

A dicembre del 1969 la ditta subì un grave furto. Approfittando della domenica 7 e della seguente festività del giorno 8, i ladri, che erano penetrati nel sovrastante appartamento del disabitato palazzo Gatti, praticando un foro in corrispondenza del soffitto del negozio, eludendo il sistema di allarme, svaligiarono le merci più pregiate.

La Polizia disse trattarsi di un colpo della “banda del buco”, già artefice di furti analoghi in altre città, che si era servita di un basista.
Il danno fu grave, esisteva una polizza assicurativa che purtroppo prevedeva una somma molto inferiore all’ammontare del danno subito. Tale somma era adeguata per il valore delle merci generalmente in carico al negozio, che in quel periodo prenatalizio erano invece aumentate di molto.

I due fratelli affrontarono anche questo frangente con determinazione ed ebbero la prova della fiducia goduta presso i fornitori. Questi, rendendosi conto delle difficoltà economiche seguenti al furto, consegnarono la merce sulla parola, cioè con l’intesa che il pagamento sarebbe stato a vendita avvenuta.

Il negozio di pellicceria era anche il punto d’incontro per conoscenti, amici e parenti che la sera passeggiavano per il Corso. Inoltre era meta fissa di antichi amici, dr. Leoberto Lepri, geom. Martelli, avvocato Guglielmo Barbacci, Pietro Del Tavano, i quali passavano poco prima della chiusura, aspettavano Renato ed insieme andavano a sedersi al tavolo di Schenardi, a loro riservato.

La conversazione spesso affrontava gli argomenti della guerra, da loro vissuta e combattuta. In questo Renato teneva banco perché le numerose esperienze belliche venivano riferite con dovizia di particolari. Le descrizioni erano talmente vivide che l’ascoltatore attento riusciva ad immaginare personaggi, luoghi, situazioni.

Una scena del film “I Vitelloni”, con Alberto Sordi, è girata davanti al negozio di pellicceria del quale si vede l’ingresso con l’insegna.
Renato assomigliava a Malagodi, allora segretario nazionale del Partito Liberale. Indossava sempre abiti neri di lana di tasmania, rigorosamente con gilet.

Nel corso della conversazione estraeva dal portasigarette d’argento una Turmac che accendeva con il Ronson.
Rodolfo, anche lui sempre elegante nell’abbigliamento, variava i capi: ai completi grigi d’inverno alternava giacche di pied de poule marrone o tweed grigio, d’estate completi di lino marrone o crema.

Aveva un carattere gioviale, gli piaceva raccontare gli aneddoti di cronaca viterbese, era un gran fumatore e buongustaio, la domenica praticava la pesca facendo scampagnate con i consueti amici e rispettive famiglie.

Alla fine anni quaranta, per favorire gli spostamenti con la famiglia, aveva acquistato una Fiat Giardiniera legno, passò poi all’Innocenti JM3 e altre auto. Con  l’A112 Abarth si divertiva di ripartire al semaforo con lo scatto bruciante.

Al negozio era sempre presente un commesso, per molti anni Luigino, che era diventato una persona di famiglia, poi Santino, Adolfo, Ettore e altri ancora.
Il commesso si occupava del cliente per pelletteria o ombrelli, ma quando si trattava di pellicceria, interveniva uno dei titolari.

I due fratelli si erano suddivisi i compiti, Renato la contabilità perché era la sua passione, per molti anni fu membro del consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Viterbo.
Rodolfo si occupava degli acquisti essendo grande esperto di pellicceria, andava dai grossisti, partecipava alle mostre, alle presentazioni dei campionari e in tutte le altre attività per restare aggiornato nel settore.

Quando si entrava nel negozio, si avvertiva il profumo della concia delle pelli, tutto era ovattato e seguiva un rituale ormai collaudato nel tempo.

Al mattino Renato, insieme al commesso, provvedeva all’apertura e Rodolfo arrivava più tardi.

All’ora di pranzo i due fratelli chiudevano il negozio, percorrevano via Roma, via San Lorenzo e via Cardinal La Fontaine per arrivare alle rispettive abitazioni. Nel palazzetto di proprietà, al primo piano abitava la famiglia di Rodolfo e al secondo quella di Renato.
Le due cugine coetanee Dina e Giovanna trascorsero i primi vent’anni della loro vita condividendo insieme ogni ora del giorno, essendo inseparabili amiche.

Nel pomeriggio all’apertura provvedeva Rodolfo e poi la sera, dopo la chiusura, Renato si fermava con gli amici da Schenardi, mentre Rodolfo andava a casa.
Quel negozio lo avevo visto da sempre perché dalla finestra della mia camera, nel palazzetto in piazza delle Erbe, scorgevo la fontana dei leoni e l’inizio del Corso.
Conoscevo i titolari, amici di mio padre, e quello era il negozio di riferimento della mamma per le compere importanti.

Quando nel 1968 mi fidanzai con Dina, iniziai a frequentare il negozio dove poi, sposato e residente a Bologna, ritornavo con piacere ogni volta che venivo a Viterbo.
Dopo la morte di Renato, Rodolfo proseguì l’attività commerciale insieme alla cognata, ancora per qualche anno.
I tempi però erano mutati, il settore della pellicceria, per una serie di motivi, era in crisi; Rodolfo era ottantenne, i figli avevano intrapreso altre strade, perciò alla fine degli anni '80 il negozio venne chiuso.

Sparì un altro pezzo della piccola storia di Viterbo.
I mobili, amorevolmente recuperati e restaurati, ora fanno bella mostra nello studio veterinario del dott. Giovanni Costantini, dove mi piace ammirarli e toccarli, perché evocano una serie innumerevole di ricordi.

Quando vengo a Viterbo e passo per il Corso, mi sembra di rivedere i due fratelli, Rodolfo sorridente e Renato accigliato, eleganti e affabili, in piedi sulla porta, che salutano i loro conoscenti e clienti, a passeggio nel salotto della città, avanti alla Pellicceria Costantini.

Fabio Ernesti

 

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