Viterbo, anni '20, la Chiesa di sant'Ignazio, dei Gesuiti
(Archivio Mauro Galeotti)

Viterbo
STORIA


La Chiesa di sant’Ignazio si trova in Piazza Mario Fani, fu iniziata a costruire il 2 Dicembre 1662 e venne compiuta il 29 Dicembre 1670.

Fu aperta al culto il 30 Luglio 1671, grazie al contributo finanziario di ottomila scudi, della famiglia Bussi, in particolare di Girolamo, che appartenne ai Gesuiti, e della famiglia Spadensi.

Infatti, in quel giorno fu consacrata la chiesa da Rodolfo Aquaviva, governatore del Patrimonio e arcivescovo di Laodicea, e, a ricordo sulla controfacciata, sopra alla porta d’ingresso, fu inserito lo stemma in marmo dei Bussi con l’epigrafe, tuttora esistente:
D.O.M. / in honorem D(ivi) Ignatii / Societatis Iesu institutoris / familia Bussia / templi huius fundatrix d d d / anno Domini MDCLXXI.

I Gesuiti ebbero l’autorizzazione di chiudere il vicolo che si trovava tra la Casa Cordelli ed il Collegio.

Fino al 1774 fu sede dei Gesuiti e così pure dal 1868 al 1872. Alla facciata furono eseguiti lavori, nel 1837, per una spesa di tremila scudi e, nel 1843, su disegno dell’ingegnere Vincenzo Federici, fu rifatta a spese del Seminario.


Sulla Gazzetta di Viterbo dell’8 Novembre 1873 leggo un elenco di opere d’arte conservate in quel momento nella chiesa:
«Quadro di s. Ignazio sull’altar maggiore, capo d’opera del Cav. Mazzanti; altro nel terzo altare a sinistra, del medesimo. / Nella sagrestia un Crocifisso con Maria e s. Giovanni, originale o buona copia di Michelangelo».

Restauri all’interno della chiesa furono fatti eseguire, dal Seminario, all’artista Castore Costantini, che li terminò nel 1893.

La facciata, con ingresso in stile rinascimentale, è in peperino con festoni di frutta sull’alto. Sotto al timpano è scolpito:
In ho. s. Ignatii l. sem. erexit a. D. MDCCCXLIII.

A destra di chi entra è il quadro Angeli ascendenti, di ignoto, contenuto in una magnifica cornice dorata con sull’alto scolpiti due cherubini. Seguiva, sopra un’epigrafe, della quale riferisco appresso, lo stemma in marmo degli Spadensi:
in capo una stella, al corpo tre gigli alternati ai quattro denti di un rastrello, in punta tre spade a ventaglio. 

Mario Signorelli lo descrive:
d’azzurro, a due spade d’argento, guarnite d’oro, passate in croce di S. Andrea, sormontate da tre gigli d’oro, ordinati in fascia.

Sotto è l’epigrafe del 1709, che Feliciano Bussi dice apposta, in quell’anno, sulla piccola porta della sacrestia, presso la Cappella di san Francesco Borgia eretta nel 1703:
D.O.M. / Donato Spadentio / ex equestri Ordine S. Stephani / ob aureos mille et quingentos / huic templo S. Ignatii / supremis tabulis legatos / grati animi monumentum / posuit / Collegium Viterbiense Societ: Iesu / anno sal: MDCCIX.

Si vuole ricordare Donato Spadensi, morto il 21 Settembre 1638, che contribuì, con un cospicuo lascito di ben millecinquecento scudi d’oro, all’avvio dei lavori per l’erezione della chiesa. 
Gli eredi del benefattore contestarono la donazione e dopo lunghe vertenze si raggiunse l’accordo, riducendo la somma a mille scudi.

Al lascito dello Spadensi ne fece seguito un altro, più consistente, di Domenico Brunacci il quale cedette il terreno con casino alla Quercia.

I Brunacci, originari di Vasanello, sono a Viterbo già nella metà del XIV secolo. Il loro stemma è:
d’argento a due branche di orso d’oro passante in croce di sant’Andrea, con le unghie rivolte in alto, accompagnate da tre cipolle di rosso con la coda in giù, due in capo ed una in punta.

Segue la sola splendida cornice dorata ove era il quadro, eseguito nei primi anni del ‘700 da un discepolo di Anton Angelo Bonifazi, raffigurante l’immagine di san Francesco Borgia, in basso è scritto:
Sacellum hoc S. Francisci / Borgia clientis a terremotus / periculis vindicati ex orna / runt / an. 1709.

L’Altare di san Francesco Borgia è nominato già nel 1703.

Segue la Cappella di san Francesco Saverio, ricca di pregiati marmi colorati, con due ordini di colonne in marmo nero e balaustra. Vi era un bel quadro, olio su tela, raffigurante la Predica di san Francesco Saverio.

La cappella fu fatta costruire nel 1677 da Domenico Sannelli e decorata a spese del figlio Ludovico. L’anno seguente Bartolomeo Malavista dotò l’altare di un busto, in argento, del Santo.

In basso ai lati, sul fronte delle basi delle colonne, è lo stemma della famiglia Sannelli, in non comuni marmi policromi.
Di tutto pregio è il paliotto dell’altare con al centro un’apertura lobata per l’inserimento delle reliquie e perfetti disegni, ad ovale e rombo con rose, armonicamente realizzati con marmi pregiati.

Sul pavimento, avanti alla cappella, è una lastra di marmo, assai consumata, con l’epigrafe a Domenico Sannelli:
Hic jacent ossa Dominici Sannelli / nobilis Viterbien advocati clarissimi / carnis resurrectionem expectantis / Ludovicus filiis / parentis optimi pietatem prosequutus / ampliori que dato / indiarum apostolo / sacellum hoc magnificentius extruxit / et tanti patroni tutelae / sua familiae cineres / ultimum ad diem credidit / anno D.ñi MDCLXXVII.

Ancora più in basso è lo stemma della famiglia Sannelli, scolpito sulla pietra tombale in peperino.
I Sannelli abitavano in Via dell’Orologio vecchio e nel vicolo cieco posto a destra di chi sale la via stessa, prima di raggiungere Piazza san Simeone. 
Scrive Pio Semeria che avevano la «Casa sotto l’orologio vecchio».

A fianco alla cappella è l’organo barocco, in legno, di non indifferente valore artistico. Non ha più né canne, né strumento.

Segue l’altare maggiore con ai lati in basso a destra lo stemma:
partito, al 1° leone rampante attraversato da una fascia, al 2° una torre di due palchi, merlata alla ghibellina, finestrata, accostata da due rose

e a sinistra uno stemma:
troncato da una fascia con al 1° tre stelle a otto raggi, di cui quella centrale cometa, al 2° con una vipera strisciante.

L’altare era di giuspatronato della famiglia Bruni Franceschini, della quale lo stemma è quello a destra; lo dotò di millecinquecento scudi.

Sopra, tra due ordini di colonne, è il quadro ad olio con raffigurato il Cristo crocifisso che appare a sant’Ignazio dicendogli «Romae tibi propitius ero», opera di Ludovico Mazzanti (1686 - 1775), eseguita nel 1745 - 1746.
Di notevole bellezza è il tabernacolo in pregiati marmi policromi e con sullo sportello il calice con l’ostia in rilievo.

Sul lato destro dell’altare maggiore è una lapide marmorea con l’effige di papa Leone XIII, commemorativa del 75° anno dalla prima comunione del pontefice, con la scritta in lettere dorate:
XI Kal. julias an. MDCCCXCVI / die anniversario LXXV / ex quo in hac aede / Joachim e comit. Pecci / primum angelico pane / est recreatus.

In alto è il medaglione col profilo del pontefice e la scritta:
Leo XIII / pont. max.

Papa Leone XIII, come ho già riferito, il 21 Giugno 1821, quando era seminarista, ai piedi dell’altare maggiore della chiesa, ricevette la prima comunione.

Segue, sulla parete a sinistra dell’altare maggiore, una epigrafe paleocristiana, trovata nelle catacombe di Pretestato, sulla tomba di una giovane martire e sulla quale il fossore scrisse solamente Irene Dulcis e scolpì un cuore trafitto da un dardo.

Vi è stata unita l’epigrafe del 1854:
Has v. et. m. reliquias nomini Irene Dulcis inscriptas / Romae in caemeterio Praetextati inventas / atque a Pio papa IX donatas / Mattheus Eustachius Gonella neocesareensis archiep. / apud Belgarum regem legatus / in suo sacello publicae / venerationi exponebat / habita a pontifice maximo facultate / quot annis prima dominica septembris / sacrum solemniter celebrandi / anno / MDCCCLIV.

Sopra all’epigrafe, su una tavola di marmo, è un’urna in legno con un teschio ed un’ampolla.

Nella cupola sono alcune decorazioni nelle vele, eseguite da Pietro Vanni, come riferisce nel 1925 Tommaso Fiore. Mentre al centro della volta della navata, e sulla controfacciata, è dipinto lo stemma di papa Leone XIII.

E’ poi, a cornu Evangelii, la Cappella Calabresi, dedicata alla Madonna, fondata il 30 Marzo 1687 da Girolamo di quella famiglia, il quale fece un legato per la sua costruzione.

Tre anni dopo, Marco Antonio Calabresi, erede di Girolamo, stipulò un contratto con Giovan Battista Casella, scalpellino in Roma, in cui stabilì le modalità per la costruzione della cappella, che fu eseguita tra i mesi di Settembre 1690 e Maggio 1691.

Di alto valore artistico è il paliotto dell’altare con due grandi girali e fiori, con al centro un foro tondo per le reliquie. Infatti all’interno è un urna in marmo con la scritta: SS. / Romulus et Mamiliana MM.

Sopra l’altare era il quadro raffigurante la Madonna assisa col Bambino in braccio. Il quadro è stato rubato il 17 Gennaio 1999 e poi recuperato. Cesare Pinzi lo attribuisce erroneamente a Filippo Caparozzi, mentre per Gaetano Coretini e Italo Faldi è più propriamente opera di Bartolomeo Cavarozzi (Viterbo 1590 c. - Roma 1625).

La cappella si presenta in due ordini di colonne, con alla sommità lo Spirito santo, ed è dotata di balaustra; ai lati in basso è lo stemma in marmo dei Calabresi:
d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata in capo da un agnus Dei passante dello stesso ed in punta da tre stelle di otto raggi d’argento male ordinate.

Su Viterbo segreta, di Italo Faldi, è un altro quadro con lo stesso soggetto di Bartolomeo Cavarozzi raffigurante la Madonna col Bambino di non grandi dimensioni (108 x 90), proviene dal mercato antiquario inglese (1974 - 1975).

Appresso viene, in parete, una stupenda grande cornice in legno dorato con all’interno la statua di san Luigi Gonzaga.

Nel secondo andito, tra le colonne, segue, murata sulla parete, l’epigrafe che ricorda la consacrazione della chiesa da parte del vescovo Brancaccio, avvenuta il 18 Aprile 1672.
Questo è il contenuto:
Stephanus archiepiscopus Brancaccius / episcopus Viterbiensis et Tuscanensis / templum hoc et altare maius / in honorem S. Ignatii / solemni ritu consecravit / die XVIII aprilis anno MDCLXXII / statuitque festum dedicationis / cum sua quotannis indulgentia / die XXXI augusti celebrandum.

Verso l’uscita, sulla parete, tra la prima e la seconda colonna, è il quadro con raffigurato il Cristo che appare ad un ammalato. Sulla controfacciata, al di sopra del ballatoio è pitturato lo stemma del vescovo di Viterbo Eugenio Clari

Sul pavimento, al centro, è la pietra tombale di un tal Michele, assai consumata e indecifrabile, vicino ve n’è un’altra di un certo Leonardo, ma anche questa illegibile.

Tra le sepolture trovo quella dei De Borgassis del 1722 e, nel 1746, Antonio Farinacci dotò la Cappella di san Luigi Gonzaga.
Un anno dopo Stefano Galeotti fondò un altare.

In sacrestia era un quadretto, del formato cinquanta per quaranta, assai prezioso, opera eseguita ad olio su tavola attribuita al grande Michelangelo Buonarroti, raffigurante la: Crocifissione di nostro Signore con i due ladroni e la Vergine, san Giovanni e santa Maria Maddalena ai piedi della croce.
In riferimento a ciò, nel volume manoscritto Memorie del Collegio di Viterbo, in data 20 Agosto 1725 è segnato che morì Pietro Paolo Brunamonti, il quale lasciò al Collegio il quadro, e vi fu annotato, quale autore, Michelangelo.
Attilio Carosi ha ritrovato un atto, già citato da Giuseppe Signorelli, del notaio Sebastiano Massarelli, il quale riferisce che il 20 Agosto 1725 morì il conte Pietro Paolo Brunamonti fu Niccolò, da Cannara (Ancona) che dimorava a Viterbo nella Parrocchia di sant’Angelo.

Nel medesimo dì fu aperto il testamento, nel quale era il lascito di «un quadro rappresentante il Crocifisso con cornice dorata, opera del quondam Michelangelo Bonarota […] da porre, a cura dei Gesuiti, nella loro Chiesa». Oggi è custodito nel Museo del Colle del Duomo, precedentemente era conservato in Vescovato.

In un elenco redatto da Giuseppe Signorelli nel 1875 leggo: «Il quadretto che trovasi in Sagrestia rap(presentante) Cristo Crocifisso, la Madonna e S. Giovanni, è degno di essere conservato. Non è originale come alcuni credono dell’insigne Michelangelo, ma è una buona copia».

Un manifestino, che ho, databile intorno ai primi dell’800, illustra l’Istruzione per li Fratelli, e Sorelle della Congregazione della Buona Morte della Città di Viterbo, e continua «Questa Congregazione sotto il titolo di Gesù moribondo, e Maria addolorata si fà ogni Domenica dopo li Vesperi nella Chiesa di S. Ignazio, ed in essa s’ammettono tutti che vogliono scriversi di qualunque sesso, dandosi loro una carta con questa, o simile istruzione».

In una saletta interna, decorata con vistosi colori, è un medaglione col profilo di papa Leone XIII nella parte alta della seguente epigrafe:
Leoni XIII p.m. / huius Collegii alumno / ab an. MDCCCXVIII ad an. MDCCCXXV.

Il soffitto è gradevolmente decorato con fregi e fiori classici dell’800.

In una nota del 1941 in merito alle campane leggo: «La campana grande, postavi dalla Compagnia del Gesù reca la data 1721 […]. La campana mezzana postavi dalla medesima Compagnia […]. La data è supponibile la stessa […].La campana più piccola sembra la più antica, la data che con difficoltà si legge e che bisognerebbe accertare reca l’anno del Signore 1280 con iscrizione a caratteri gotici, difficilmente leggibile».

La chiesa, dal vescovo Luigi Boccadoro, è stata affidata alla Comunità terapeutica del CEIS e il 21 Gennaio 2014, il vescovo di Viterbo Lino Fumagalli l'ha affidata alla Parrocchia romeno ortodossa di "San Callimaco di Cernica".

La Liturgia è stata presieduta da S.E. Mons. Siluan Span, Vescovo della Diocesi Ortodossa romena d'Italia, con la partecipazione del Vescovo di Viterbo, mons. Lino Fumagalli; di Antonella Scolamiero, prefetto di Viterbo; Marcello Meroi, presidente della Provincia di Viterbo; di Leonardo Michelini, sindaco di Viterbo; di Teresa Mascolo, direttrice del Penitenziario Mammagialla e del parroco, padre Gheorghe Ionascu.

L'importante evento è avvenuto nell'Ottavario di Preghiera per l'Unità dei Cristiani.

Mauro Galeotti

dal libro: Mauro Galeotti, "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 1046 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it