1930 circa Gimkana a Prato Giardino (Archivio Mauro Galeotti) 

Viterbo STORIA
Mauro Galeotti

Nella Pianta di Viterbo di Tarquinio Ligustri, 1596, l’area occupata oggi da Prato Giardino viene denominata Campo Giardino, Prato del Giardino, questo appezzamento di terreno ebbe il nome Giardino sin dal XIV secolo.

Pianta di Viterbo di Pierre Mortier del 1704, Campo Giardino, ovvero Prato Giardino, a destra è la Rocca Albornoz. Porta santa Lucia è l'attuale Porta Fiorentina, al n° 45 è la Chiesa di santa Lucia della Religione di Malta sull'attuale Via della Palazzina

In origine era un terreno con prato e apparteneva alla Dogana del Patrimonio, poi dopo che il cardinale Egidio Albornoz fece costruire la Rocca, fu meta dei castellani papali e fu luogo di riunione per le esercitazioni militari.

Fino alla fine del secolo XVII esisteva al centro una fontana che è sparita per incuria. Dalla Gazzetta di Viterbo del 9 Settembre 1876: «Sotto il prato passavano dei cunicoli, che servivano per mettere la rocca in comunicazione coll’esterno e per le sortite e le sorprese in tempo di guerra. Nel passato secolo si vedevano ancora a piè del prato le imboccature, in parte coperte dai rovi, di tre cunicoli, uno dei quali comodamente praticabile per lungo tratto».

Ivi si fermavano le mandrie al loro passaggio per la città; si facevano le stime e le divisioni del bestiame; si andava a caccia di allodole; vi si tenevano le manovre e le riviste militari.

Nel 1695, per un terremoto che l’11 Giugno sconvolse la nostra città, gli abitanti si accamparono per vari giorni su quest’area dove fu anche innalzato un altare dal quale il vescovo dette la solenne benedizione. Passato il pericolo fu fatta una solenne processione e fu stabilito che ogni 11 Giugno dei successivi sette anni si sarebbe ripetuta, poi in effetti, come leggo sulla Gazzetta di Viterbo del 27 Ottobre 1877, «Passati i sette anni, si è continuato a far la processione fino a pochi anni addietro».

Via del Pilastro che fiancheggia Prato Giardino era detta Via dei Pilastri, per la presenza di tre pilastri messi a dimora all’ingresso sin dal tempo dei Chigi, questi avevano lo scopo di non far entrare le carrozze. Altri pilastri in peperino, erano conficcati sul confine verso la strada per evitare che i carri o le carrozze potessero entrare sul prato.

Come risulta dalla Pianta della traversa postale della Città di Viterbo (1821), all’inizio della Via del Pilastro a sinistra, era una fontana, posta di fronte all’ingresso di Prato Giardino. Leggo ancora sulla Gazzetta di Viterbo: «Lungo il lato sulla strada del Pilastro, che era detta dei Pilastri, la terra del prato era sostenuta per un tratto verso l’estremità inferiore da una muraglia per impedire gli scoscendimenti. Questo però, a cui ora è rimasto il nome di Prato Giardino, e che è ridotto a passeggiata pubblica, non era l’intiero prato.

Vi erano il Prato Grande ed il Prato Piccolo. 

Questo insieme col fondo Chigi ed altri prossimi terreni, era il Prato Grande: il Prato Piccolo era al di là della strada nazionale [Via della Palazzina]; era la villa Bonaparte, ora Rattazzi. 

Del casino fino ad una certa epoca del passato secolo non vi era ombra; e quell’appezzamento di prato era diviso in due da uno stradello obliquo, che aveva principio dal punto ove ora è il casino e sboccava sulla strada nazionale presso la Palazzina, che allora già esisteva. Il detto Prato Piccolo era quadrato e terminava ove ora termina la villa. Era costeggiato da una strada, che partiva da quella stena di vigna dopo la villa e facendo un angolo retto andava a far capo alla Palazzina, ove sboccava l’altro stradello».

Nel 1873 in Consiglio comunale venne discusso lo spostamento della fontana, di cui sopra, che, secondo un giornalista della Gazzetta di Viterbo, ingombrava «la linea del transito alla passeggiata». Lo stesso continua a scrivere: «Questa fontana dovrà trasportarsi presso il muro di cinta della villa Whise [Wyse], facendo simmetria coll’ingresso della passeggiata. 

Si dovrà poi sistemare il piazzale fuori della porta, togliendo le opere di fortificazione passeggiera erette per esercizio dai militari del presidio. E a parer nostro sarebbe bene abbattere anche quel muro a feritoie, che non fa alcun ufficio; e poi piantare di alberi tutto quel piazzale», è l’11 Ottobre 1873. L’attuale Via Prato Giardino era detta sin dal 1713, Stradello del Pilastrino.

Tra i proprietari di Prato Giardino trovo nel 1451 la famiglia Monaldeschi, poi nel 1459 la famiglia Gatti. Dopo il 1551 fu ceduto ai Baglioni, i quali, nel 1626, per estinguere un debito coi Marsciano, vendettero a quest’ultimi, tra l’altro, anche il Prato Giardino. Dai Marsciano passò a Dionora Chigi Montoro nel 1638, fu poi concesso in enfiteusi nel 1734 a Ubaldino Renzoli.

Tra i proprietari risulta anche il principe Gerolamo Pamphili Aldobrandini Facchinetti. Francesco Cristofori, in una nota, riportata circa il 1890, nella rubrica delle Riforme del 1819 - 1820, la descrive: «Fontana nel predio rustico de li signori Chigi Montoro al prato Giardino. Con la strada che va dal bivio de la Madonna addolorata a le Bussete. Nasce in una grotta da una rupe […]. 

E’ di uso pubblico civico inconcusso». Prato Giardino fu anche triste teatro di esecuzioni capitali per oltre quaranta anni, dal 1571 al 23 Agosto 1612. Vi furono impiccati venticinque uomini, l’ultimo fu Tiberio di Silvestro da Porano. Sul periodico locale Gazzetta di Viterbo, uscito nell’Agosto 1876, sono elencati vari nomi dei condannati in un racconto a carattere satirico.

Nel podere dei Chigi, riferisce Stefano Camilli, agli inizi dell’800 furono scoperti alcuni cunicoli «in parte franati e riempiuti» che furono utilizzati nel 1243 nella battaglia contro Federico II. Il Camilli è l’autore della prima guida di Viterbo che potesse consentire ai visitatori di conoscere la storia dei monumenti viterbesi, la fece stampare nel 1824 a Viterbo dal Poggiarelli, il titolo è Direzione per osservare i monumenti più cospicui della città di Viterbo e notizie relative.

1890 Villa Signorelli, già Renzoli poi Brannetti (Archivio Mauro Galeotti)

La famiglia Especo y Vera, per un lascito di Girolamo Pamphili alla vedova di Luigi Especo, Teresa Marescotti, ebbe tra le sue proprietà anche la villa di Prato Giardino, costruita dai Renzoli, poi passata ai Signorelli, dei quali Pietro nel 1877 fece costruire una antistante cancellata, poi demolita, e dal 1910 divenne proprietà dei Brannetti.

Prato Giardino in una pianta del 1890 di Lorenzo Tedeschi (Archivio Mauro Galeotti)

Lo stemma Especo y Vera è: partito, al 1°, a) d’oro, a tre bande d’azzurro, b) d’oro, al leone d’argento su di un monte al naturale, alla bordura di rosso caricata da otto plinti in palo, d’azzurro; al 2° d’argento, all’aquila di nero, coronata d’oro, sormontata dal motto «Veritas vincit»; alla bordura di rosso caricata da otto crocette di sant’Andrea d’argento, sia i plinti che le crocette sono posti due per lato.

Lo stemma dei Renzoli è: d’azzurro, alla croce d’argento accantonata nel primo cantone da una stella di otto raggi d’oro e nel quarto di un crescente d’argento: col capo d’oro, all’aquila bicipite di nero.

Lo stemma dei Signorelli è: partito, al 1° d’azzurro alla casa merlata, chiusa e finestrata di nero posta su tre colli degradanti e verdeggianti, illuminata dal sole nascente d’oro; al 2° d’oro, all’aquila spiegata e coronata di nero.

Nel 1821 in un appartamento al secondo piano della villa, appartenuta in quel tempo al marchese Bartolomeo Especo y Vera, prese sede l’Accademia filodrammatica viterbese che vi allestì un teatro con centoquaranta posti a sedere. Il teatro, attivo fino al 1838, fu chiamato Teatro di Prato Giardino e sul sipario era scritto il motto: Castigat ridendo mores.

Stefano Camilli in merito all’Accademia, nell’Almanacco della Delegazione di Viterbo pel 1840, scrive: «I socj di ambi i sessi in locale appositamente costruito si esercitano nella declamazione, e rappresentazione di opere comiche, drammatiche, tragiche ec. a tutte proprie spese». Prato Giardino era stato in quel tempo abbandonato tanto da essere chiamato Prato-spino.

Finalmente, però, il Comune il 9 Gennaio 1843, ravvisata la posizione strategica rispetto alla città, deliberò di acquistare Prato Giardino, per destinarlo ad utilità pubblica, ma solo nel 1845 Antonio Calandrelli fu incaricato di attivare le trattative per l’acquisto e, nel 1847, divenne di proprietà pubblica. Nel 1847, infatti, il Comune di Viterbo a seguito di una lunga causa per l’uso di Prato Giardino, prese in enfiteusi perpetua quel terreno, pagando al proprietario, marchese Filippo Patrizi Montoro, un affitto di sessanta scudi. Trovo una nota curiosa che leggo sul periodico Il Bulicame uscito l’1 - 15 Luglio 1960: «Il 22 giugno 1862 una donna francese volle compiere il primo volo sulla nostra Città. In un pallone volò dal palazzo di Prato Giardino fin sul tetto del palazzo Bonaparte, fuori Porta Fiorentina. La coraggiosa donna ebbe in premio 55 bajocchi».

I lavori di assestamento del terreno ed il tracciato dei viali non ebbero inizio che nel 1855, a seguito dell’elevato afflusso di forestieri alle terme. Il progetto fu realizzato dall’architetto Crispino Bonagente. Innanzi tutto furono messi a dimora gli alberi lungo i viali, grazie ad una sottoscrizione di trentuno cittadini, e nel 1858 fu anche preparato un progetto per l’erezione del muro di cinta, lavoro iniziato l’anno successivo dal mastro muratore Ignazio Agostini, che però si protrasse fino al 1865 a causa di discordie sulla qualità del lavoro.

Fu il Vicario vescovile a sollecitare la recinzione «onde evitare le immoralità, che vi si commettevano di notte tempo!». Il cancello, per chiudere l’ingresso, fu progettato dall’architetto Virginio Vespignani nel 1872, furono utilizzati quattromila chili di ferro, 1666 chili di ghisa e per i due cancelli laterali cinquecento chili di ferro. Il lavoro fu pagato per la cancellata di ferro, compresa la mano d’opera, lire 1,30 al chilo, per l’ornato e la colonna di ghisa lire 1,50 al chilo.

Prato Giardino nel 1910. Il laghetto con al centro l'isola, era il rifugio di oche, anatre (Archivio Mauro Galeotti)

I venti sedili in pietra da collocare lungo le passeggiate, furono disegnati dall’ingegnere Valerio Caposavi, mentre risale al 1872 la costruzione del muro di cinta lungo Via della Palazzina, il quale nel 1876 crollò in due tratti. La prima festa organizzata a Prato Giardino avvenne il 5 Maggio 1872 a cura della Società di Mutuo Soccorso che aveva ben quattrocento soci. Fu fatta per l’occasione una corsa di butteri con cavalli e al vincitore andarono cento lire ed il palio in seta con l’emblema della suddetta Società.

La lotteria invece prevedeva numerosi premi ed un biglietto costava ottanta centesimi, l’ingresso venti. A conclusione della festa fu innalzato il consueto globo aerostatico, con su scritto il nome della Società. In un Consiglio comunale del 1873 si decide di abbellire Prato Giardino con pratini visto che «ora non si ha che degli alberi sopra un campo arido e polveroso», così scrive un giornalista della Gazzetta di Viterbo dell’11 Ottobre 1873, il quale continua, «E’ stato approvato un progetto di abbellimento con fontane, aiuole e piante di varie specie. Ne è stato esposto lungamente nelle sale comunali il disegno, che si giudica riuscirà di bell’aspetto».

La vasca grande, delimitata dalla classica pietra tratta dal vicino Bullicame, presentava al centro una grande scogliera con delle apposite nicchie che ospitavano, per ripararsi o nidificare, le anatre, i cigni e le oche. Nel 1874, scrive Giuseppe Ferdinando Egidi sulla sua guida di Viterbo del 1889, Prato Giardino «fu modificato, come è attualmente, sul disegno dell’ing. Valerio Caposavi viterbese» e a sistemazione ultimata, sempre in quell’anno, i fratelli Schenardi chiesero al Comune ed ottennero di poter aprire all’interno un caffè e una rivendita di bibite.

L'ingresso di Prato Giardino nel 1910, distrutto dai bombardamenti aerei del 1944 (Archivio Mauro Galeotti)

Fu anche stilato, in data 25 Novembre 1874, un regolamento comunale che, tra l’altro, prevedeva l’apertura durante l’Estate dalle 5 alle 20,30 e l’Inverno dalle 9 alle 17, mentre in Autunno e Primavera dalle 6 alle 18. Inoltre veniva stabilito che «Ogni ceto di persone può accedere liberamente, esclusi gli accattoni, gli ubbriachi, la gente male in arnese ed i ragazzi che non abbiano chi ne possa rispondere. E’ vietato espressamente l’ingresso ai cani che non siano legati, ai carrozzini ad un cavallo se non sono decenti, agli scozzoni con cavalli a sella, alle vetture tirate da puledri ed ai carretti d’ogni specie. Le carrozze ed i cavalli a sella non potranno introdursi nei viali segnati dalle colonnette. 

A niuno è permesso di cogliere fiori, schiantar rami e piante e fare qualunque altro danno agli alberi e alle piantagioni, non che ai sedili, muri ecc. E’ proibito di passeggiare entro le aiuole o di attraversarle come pure d’intorbidare le acque delle fontane e di pescarvi i pesci che vi risiedono». Ai viali più grandi fu data una denominazione, il Viale Principe Amedeo, ad esempio, conduceva al busto di quest’ultimo; invece, il grande piazzale centrale fu detto Piazzale dei Concerti.

Infatti, il sindaco Pietro Signorelli, nel 1886, fece costruire una piattaforma in legno sulla piazza grande, per tenervi i concerti eseguiti dalle Bande musicali di Viterbo comunale e militare. In un inventario del 1912 è l’elenco delle piante collocate nel giardino, tra le più numerose erano: centoquarantadue olmi, centotrentuno elci, settantuno aceri, trentuno acacie, ventisette frassini, ventisei tigli, ventuno pini, diciannove noci Nigra, diciotto abeti, diciassette ippocastani, quindici cedri del Libano, tredici cipressi ed undici pioppi. Una vera e propria foresta!

Il piazzale avanti l'ingresso di Prato Giardino nel 1910 (Archivio Mauro Galeotti)

Nel 1919 fu eretto, a partire dal cancello principale, un tratto di muro di riparo verso Via della Palazzina e vi furono collocate sei cancellate con relative colonnine in ghisa, già poste attorno alla Fontana di Piazza delle Erbe. Erano state tolte dalla suddetta fontana con atto del Consiglio comunale del 2 Dicembre 1911, e depositate nell’allora magazzino, ricavato dal Comune, nella Chiesa di santa Maria della Pace. Nel 1927 fu assunto un custode, che aveva il dovere di sventare atti di vandalismo e da quell’anno, fino al 1936 la manutenzione di Prato Giardino fu affidata ad Angelo Fioretti, titolare di un negozio di fioraio in Via Cavour.

In seguito, nel 1929, la sorveglianza fu affidata anche alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Prato Giardino fu protagonista, nel 1932, di una inconsueta gimcana di automobili, della quale esistono rare foto che ho pubblicato, e il 2 Ottobre 1938 della IX Festa dell’Uva, con musiche e danze in costume popolare.

I bombardamenti della Seconda guerra mondiale, nel 1944, hanno colpito anche Prato Giardino danneggiando le condotte d’acqua, gli alberi, le panchine e il cancello d’ingresso che, reso irrecuperabile, fu venduto come ferraccio a Giorgio Pacini.

L’attuale cancello è stato realizzato verso il 1950 dai fratelli Edoardo e Azelio Felicetti, su disegno dell’architetto viterbese Rodolfo Salcini.

Veduta aerea di Prato Giardino negli anni '60 del 1900, in basso è Via della Palazzina, di fronte Via del Pilastro. Il grande elce avanti l'ingresso di Prato Giardino è stato potato e il distributore di benzina è solo un ricordo (Archivio Mauro Galeotti)

All’interno sono vari monumenti. 

Quello dedicato a Vittorio Emanuele II fu voluto dalla Società del Circolo Viterbese, ad eseguirlo fu incaricato lo scultore viterbese Silvestro Zei, l’inaugurazione avvenne il 5 Giugno 1881.

A Giuseppe Garibaldi, fu dedicato un busto su pilastro, inaugurato il 1° Giugno 1884, opera di Silvestro Zei.

Il monumento a Camillo Benso conte di Cavour fu realizzato ad opera dello scultore Silvestro Zei e fu inaugurato il 6 Giugno 1886.

Quello al principe Amedeo di Savoia (1845 - 1890), duca d’Aosta, fu inaugurato il 1° Febbraio 1891 e fu eseguito dallo scultore Francesco Fasce.

Il busto in bronzo di Giuseppe Mazzini fu invece eseguito dallo scultore e pittore Ettore Ferrari (1845 - 1929) e fuso da Crescenzi, fu inaugurato il 14 Giugno 1891. Sul fronte del piedistallo, al centro di una corona bronzea, è scritto: A / Mazzini / Viterbo / MDCCCXCI.

L’ultimo monumento innalzato a Prato Giardino è quello al musicista viterbese Cesare Dobici con la scritta Cesare Dobici / 1873 · 1944 / musicista, fu eseguito in bronzo dallo scultore Assen Peikov e fu inaugurato il 6 Giugno 1971, a scoprire il busto è stato Ferdinando Harbel, preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra, discepolo del musicista.

 

Cesare Dobici

Cesare Dobici (11 Dicembre 1873 - Roma 25 Aprile 1944) era figlio di Nazareno, sellaio, e di Lucia Croce, abitava nella casa ove nacque al Vicolo Palombo, oggi Via dei Tignosi. Dopo un primo approccio con la musica, grazie a un frate domenicano francese presso il Convento di santa Maria della Quercia, seguì più specifiche lezioni nel Convento della Trinità.

Fu quindi apprezzato allievo dei maestri di musica Angelo Medori (21 Gennaio 1839 - 19 Gennaio 1894) e Salvatore Meluzzi. Conobbe più tardi il titolare di composizione a santa Cecilia nella persona di Cesare De Sanctis che gli consentì di proseguire le lezioni in conservatorio fino al 1899 e di diplomarsi in pianoforte, divenendo il suo successore.

Del 1910 è la nomina a docente presso la Pontificia Scuola Superiore di Musica Sacra a Roma e dal 1911 al 1940 insegnò armonia e contrappunto nel Conservatorio di santa Cecilia. Sono almeno centosessanta i pezzi del musicista viterbese inediti.

Tra i numerosi successi vanno ricordati Tota pulchra a dodici voci per tre cori e tre organi, scritto in occasione del 50° Anniversario del Dogma dell’Immacolata dedicato a papa Leone XIII; la Missa pro defunctis per quattro voci dispari accompagnate dall’organo; la Messa da requiem scritta in occasione della morte del re Umberto I ed eseguita dal Dobici stesso al Pantheon, alla presenza dei reali, e il Dies irae a otto voci, doppio coro, eseguita il 14 Marzo 1907 da centodiciotto cantori.

Tra le opere cito il Cola di Rienzo e la Carlotta Corday. Dal 1890 si trasferì a Roma in Via Napoleone III, ma i giorni di riposo li trascorse nella sua Viterbo.

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Prato Giardino è animato da giochi per bambini, da numerosi animali, tra oche e anatre che tranquillamente passeggiano accanto ai bambini e agli adulti. Ognuno al suo posto con estremo rispetto.

Viene anche utilizzato quale luogo per le esposizioni canine, per le manifestazioni sonore e canore e per svariate attività culturali.

E a proposito di giochi, voglio qui ricordare che lo Statuto di Viterbo del 1469, alla rubrica LIV del libro III, proibiva ai ragazzi il gioco del lancio dei sassi, gioco già vietato il 5 Novembre 1424 da un’ordine dei priori. 

Chi era sorpreso a contravvenire la disposizione veniva punito con il pagamento di venticinque ducati d’oro e con quattro frustate di corda. In seguito, il 1° Novembre 1458, il governatore stabilì che la condanna doveva essere pagata dal genitore del ragazzo disubbidiente per il quale aggiungeva «et lo dicto figliolo sia frustato per tutto Viterbo et farassene aspera esecutione».

Ma tali proibizioni ebbero sempre poca efficacia e Umberto Congedo scrive nel 1917: «Oggi i popolani di Viterbo, e non i popolani soltanto, nella stagione primaverile impegnano, quasi rinnovellando l’abile agilità degli antichi discobuli, gare, talvolta anche con poste non lievi, sul lancio, a mezzo di corda, di grossi dischi di legno, le ruzzole, per le strade campestri nella piana o su per quella che mena a S. Martino al Cimino».

L'indimenticabile don Armando Marini tira il suo ruzzolone in una stradina di campagna intorno a Viterbo (Archivio Mauro Galeotti)

 

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