La Loggia papale e il Palazzo papale nel 1860 (Archivio Mauro Galeotti)

Viterbo STORIA
Diocesi di Viterbo
e Mauro Galeotti con la storia della Loggia papale a fine lettera della Diocesi

Stato di accertamenti in corso finalizzati al restauro della Loggia papale incontro il 10 dicembre 2019 alle ore 10,30 al Ce.Di.Do. 

 

La storia della Loggia papale
Mauro Galeotti

 

Sul lato destro di chi sale la scala del Palazzo dei papi è la porta d’ingresso alla Loggia papale, murata per secoli e aperta in questi ultimi tempi. 

Sopra all’ingresso stesso è l’epigrafe, in cornice di peperino affiancata da un’altra a punta di diamante, che ricorda la costruzione della loggia stessa. 

E’ essa che parla:

† Tunc erat Andreas studio sum condita cuius / Beralli proles Terre capitaneus huius / cu(m) sexaginta septem cum mille ducenti / curreba(n)t anni D(omi)ni sit nota legenti / Cleme(n)s quartus erat romanus papa beatus / tertius ipsius erat annus pontificatus / Nobile Viterbum Britonu(m) generosa propago / Quid tibi fert operis spetiosa figurat ymago.

Tradotta: Era allora Andrea di Beraldo capitano di questa città e fui costruita per suo volere.

Correvano gli anni del Signore 1267 - la cosa sia nota al lettore - il beato Clemente IV era papa romano, terzo l'anno del suo pontificato.

O nobile Viterbo, questa bella visione conferma quale grande opera ti offre la generosa stirpe dei Brettoni.

La loggia fu quindi eretta nel 1267 per volere di Andrea di Beraldo, o Veraldo, di Rolando Gatti quando era capitano del popolo e nel 1278 viene detta la loggia del papa.

Il prospetto della loggia papale è costituito da sette arcate trilobate ogivali, sorrette da esili colonnine abbinate con capitelli uncinati, le quali sopportavano un tetto ormai distrutto.

Oggi sostengono solo una ardita trabeazione che presenta vari stemmi. Quelli che appartengono alla Chiesa sono le chiavi decussate e le doppie mitre con infule pendenti, rivolte a destra o a sinistra, unitamente alle aquile con le ali spiegate e gli artigli tesi.

Sbagliano coloro che riferiscono le aquile quali simboli dell’Impero, infatti queste con la testa rivolta alla loro destra sono aquile guelfe concesse da Clemente IV ai suoi seguaci.

Gli stemmi della famiglia Gatti sono, come ho già scritto, quelli con le fasce, invece quelli di Viterbo si presentano tutti col leone passante verso sinistra, meno uno passante verso destra per chi guarda. Tutti hanno la picca a tre punte.

Giuseppe Gerola sull’Archivio della R. Società romana di storia patria, volume LII, scrive che «il più antico esempio di stemma pontificio colle chiavi poste in croce è probabilmente quello fatto scolpire a Viterbo, nel cuore del Patrimonio di S. Pietro, sul palazzo papale del 1267», ed in nota scrive «La più parte di quelle armette furono scolpite nei recenti restauri; ma la prima di sinistra è originale».

A coronamento e a completamento è una fascia composta dal susseguirsi di doppie infule e di chiavi decussate della Chiesa.

Queste cornici erano colorate e si notano ancora oggi tracce di color rosso mattone in più punti, invece le mitre dovevano essere colorate di giallo. Secondo Cesare Pinzi anche le lettere delle epigrafi erano colorate in oro.

Scrive Pietro Guidi su L’illustrazione vaticana del 1932:

«La fronte della Loggia presenta tracce di una gaia policromia che chiazzava d’oro, di rosso e di azzurro gli intagli delle cornici». 

Interessante ed imponente è la grande volta che sostiene la loggia, al centro della quale è una grossa colonna in muratura a pianta ottagonale che, oltre a sostenere quanto descritto, è conduttrice d’acqua per la fontana ubicata al centro della loggia stessa. Il maestoso arco fu chiuso con una cortina di muro per fatto del Cardinale Gonnella nello scorso decennio [1866 c.] allo scopo di formarvi un pollaio, il quale muro è uno sconcio enormissimo. 

Così riporta una lettera del Prefetto di Viterbo, in data 1° Ottobre 1876, riferita da Cristina Crisari.

Sul fronte, sopra l’arco della volta verso destra per chi guarda, è uno stemma dei Gatti, sormontato da una grande pietra, sulla quale era scolpito il gatto.

Scrive, amorevolmente, Giuseppe Ferdinando Egidi nella sua guida di Viterbo del 1889:

«Dalla piazza del Duomo è facile il vedere la loggia fatta costruire nel 1267 da Beraldo Gatti a decoro della residenza papale: certo lo stato di deperimento in cui si trova non permette di ammirarne tutta la bellezza: se però col pensiero ce la immaginiamo aperta nei suoi archetti, con le esili colonnine profilate sull’azzurro del cielo, con le cornici dorate e colorate, e rinfrescata del getto della fonte medioevale dell’interno, possiamo avere un’idea della sua leggerezza che la farebbe simile a un ricamo».

Aveva proprio immaginato bene!

La loggia era a duplice prospetto, quello verso nord cadde, secondo qualche storico, per il troppo peso del tetto; scrive Mario Signorelli: 

«Giovanni XXII nel 1325 [il 13 Agosto] scriveva al Comune da Avignone per invitarlo a restaurare il loggiato “ridotto in tale stato che la sua caduta si riteneva imminente”. Purtroppo tale invito non fu accolto: il prospetto di Nord precipitò improvvisamente».

Il papa si era rivolto al cappellano Roberto di Albarupe, rettore del Patrimonio il quale, sembra, non fece altro che chiuderla con muratura. Ma la loggia, di lì a poco, crollò ugualmente e, in un documento del 1483, si dice nella loggia discoperta.

Nel 1548 si dovevano realizzare i restauri al tetto della loggia; se ne interessò il cardinale Niccolò Ridolfi, il quale voleva far eseguire i lavori al muratore Bernardo dal Lago Maggiore, ma il porporato fu trasferito ad Orvieto e il tetto venne fatto ricostruire da altri operai.

L’altro prospetto verso la piazza a sud, fu murato lasciandovi solo qualche stretta fessura; fu restaurato ad iniziare dal 30 Novembre 1903 e fu portato, com’è al presente, il 30 Agosto 1904. Responsabili dei lavori furono gli architetti Pietro Guidi e il romano Giulio de Angelis (1844 - 1906), mentre i finanziamenti vennero concessi dal Ministero della Pubblica Istruzione.

E’ doveroso ricordare il marmoraio Giovanni Nottola che, con estrema abilità e passione, sostituì le parti rovinate con altre nuove, fedelmente riprodotte.

Da questa loggia i pontefici eletti impartirono la benedizione Urbi et Orbi. Clemente IV, nel giorno del Giovedì santo del 1268, dalla cattedrale scagliò un anatema contro gli Svevi ed espresse nella Pentecoste del 1268, come ho già riferito, la sua pietà per Corradino di Svevia, quando presenziava il capitolo generale nella Chiesa di santa Maria in Gradi:

«non temete di questo giovane, che da cattivi consiglieri è condotto quale docile agnello al macello!».

Il papa l’aveva scomunicato e l’ultimo degli Hohenstaüfen fu sconfitto a Tagliacozzo il 23 Agosto 1268. Corradino catturato da Giovanni Frangipane e consegnato a Carlo d’Angiò, fu processato e decapitato.

L’ingresso alla loggia è dalla porta che dà sulla scala del Palazzo papale. Sulla loggia è l’ingresso alla Curia vescovile che un tempo era adibita a carcere episcopale, situato nel sotterraneo del fabbricato. L’edificio è stato restaurato dal 15 Aprile 2001 all’Aprile 2002, in quell’occasione è venuto alla luce un pavimento del Duecento ed un angelo in affresco. I lavori sono stati eseguiti dalla Ditta Bracaletti di Vetralla, sotto la direzione dell’ingegnere Santino Tosini e dell’architetto Maria Fanti.

Sull’architrave della porta a destra che conduceva in cancelleria, aperta dal vescovo Francesco Maria Brancaccio (1638 - 1670), è inciso:

Fra. M. card. Brancatius epûs Viterb.

Sul fianco sinistro, sull’architrave dell’ingresso, è scolpito O. Ria. epis. Viterb., in ricordo dei restauri eseguiti per volere del vescovo Ottaviano Visconti - Riario (1506 - 1523) del quale è lo stemma, nella metà inferiore scalpellato.

L’altra porta, che segue, ha la scritta sull’architrave: Io. Fr. card. De Gambara.

Sulla parete di fronte, è murato uno stemma, la cui pietra è spaccata in più parti, presenta la fascia con in capo due bande ondate, che ricordano lo stemma dei Caetani, ed in punta la stella di sei raggi con sottostante montante.

A proposito, sulle soffitte del Palazzo papale, sono alcuni affreschi con lo stemma Caetani, del ramo di Anagni, fondo giallo (in realtà è oro) e bande ondate azzurre, e lo stemma di Viterbo col leone che sta con la zampa anteriore assai sollevata.

Sul muro sorretto dalle colonnine della loggia sono quattro stemmi dei Gatti e tra questi quello del Comune, il leone con la picca.

 

Fontana della loggia papale

La fontana al centro del piano della loggia ha sostituito un’altra risalente al tempo della costruzione della loggia stessa e veniva chiamata fons papalis, essendo, infatti, eretta da Andrea di Beraldo Gatti (1267), capitano del popolo, dopo lo zio Raniero.

Altri la dicono eretta da Visconte Gatti, il quale vi condusse l’acqua dalla sorgente della Mazzetta. Verso la metà del XIV secolo crollarono il tetto e il fronte della loggia verso la Valle di Faul, distruggendo buona parte della fontana stessa.

L’odierna fonte è stata composta, nella seconda metà del XV secolo, dall’unione di varie parti. In quel tempo si conservò il sostegno centrale con la coppa e si aggiunse la vasca, formata da sedici specchiature. Queste sul fronte presentano gli stemmi: tre della famiglia Gatti, di papa Sisto IV della Rovere; di Francesco Maria Visconti Sèttala e di Raffaele Riario. 

Francesco Cristofori, in una nota, riportata circa il 1890, nella rubrica delle Riforme del 1819 - 1820, scrive:

«Fontana del palagio papale. In via di san Clemente. Hora è diruta. Deriva da la fonte de la piazza del Duomo».

Cesare Pinzi nell’opuscolo Roma - Viterbo ricordo 29 Aprile 1894, scrive:

«La colonna ottagonale, che sostenta il grande arco, era la tromba d’una profonda cisterna che riforniva d’acqua il palazzo. 

Più tardi, quando quella fu soppressa, si pose all’imboccatura della medesima la vasca di un’antica fontana, formandone la base con gli stessi stemmi inquadrati che decoravano le pareti interne del loggiato».

Altri restauri furono eseguiti tra il 1897 ed il 1908 quando fu ripristinato il Palazzo papale. L’acqua fuoriesce da una fessura della vasca e si incanala in un incavo realizzato sul pavimento della loggia fino a raggiungere un foro, che la lascia cadere liberamente per tutta l’altezza della loggia, creando un suggestivo gocciolio.

La coppa, con la parete esterna strigilata e con dodici teste di leone, col cannello in bocca, è sostenuta da una colonna con capitello fregiato da foglie arricciate in punta. Al centro si erge una cuspide ornata dagli stemmi Riario, della Rovere e Sèttala. La sommità è raffigurata da un bel cesto di frutta dal cui centro esce uno zampillo d’acqua.

La vasca, formata da più specchi di peperino, riporta gli stemmi della predetta cuspide, con l’aggiunta di tre stemmi dei Gatti.

Tratto dal mio libro "L'Illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

 

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