Gioachino Belli

Vincenzo Ceniti Console Touring   

Monterosi al tempo dei Romani veniva chiamata “Rossulum al 27° miglio sulla Cassia” ed era un luogo di sosta e di ristoro durante le lunghe camminate da Roma verso il nord e viceversa.

Le osterie e le locande che nei secoli successivi consolidarono questa vocazione di “posta” sono considerate come le antenate dei nostri grill autostradali.

Si ricordano, nei vari anni, l’osteria del Frasaccio, quella della Campana, la taverna di San Giorgio (gestita addirittura da un cardinale), l’albergo dell’Angelo, l’osteria di San Marco, la locanda della Corona, l’osteria dell’Olmo (trasformata poi in caserma), la locanda De Pepp’er tosto.

In quest’ultimo santuario del vino Gioachino Belli, il cantore della Roma ottocentesca, approfittando di una sosta, il 10 Ottobre del 1831 scrisse un sonetto di ispirazione locale “L’amichi del’osteria” che vale la pena di rileggere come pillola energetica di questa settimana.

       «Hai raggione per Dio! nun zò ccattive
ste sciriole». «E tte piasce er marinato?».
«Me tiro un antro pezzo de stufato.
Maggnete st’ova che ssò ffresche vive».

     «Pe mmé, cquanno ho ppijjato antre du’ olive
ce n’ho dd’avanzo, ché ssò ggià arrivato.
...No, nun me fà piú bbeve: ho ssiggillato.
Chi bbeve pe mmaggnà mmaggnà pe vvive».
              
     «Ma eh? ccorpo dell’anima de ghetto!
10pare er pisscio, sto vin de pontemollo,
dell’angelo custode bbenedetto?».
              
     «Ohò! cciavemo ancora un antro pollo?!
Maggni ala o ccoscia?» «No, nnemmanco er petto:
si mme vôi fà sscialà, ttajjeme er collo».


                                         Gioachino Belli

 

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