Il Bullicame nel 1900 circa (Archivio Mauro Galeotti)

Vincenzo Ceniti Console Touring 

Nudi al Bullicame senza vergogna, uomini e donne in “deplorevole promiscuità” a fare il bagno privi di costume nelle pozze adiacenti alla caldera, esposti e partecipanti ai lazzi osceni di soldati e giovinastri che assistevano all’intorno.

Accade domenica 18 maggio del 1930, ma era già capitato altre volte come si legge nella lettera inviata il giorno dopo (19 maggio) al podestà di Viterbo Antonio Maturi dal reggente la Questura Vincenzo Ceniti (mio futuro nonno) con cui si sollecitano drastici provvedimenti.

La vasca – si legge nella missiva - è esposta alla vista dei passanti e quindi di famiglie anche con bambine e giovinette che recatesi sul posto hanno dovuto assistere a cotanto scandalo. Che non si ripeta più. Il podestà viene pertanto sollecitato a disporre tempestivamente un servizio di vigilanza utilizzando anche l’Arma dei Reali Carabinieri per impedire e reprimere in modo assoluto il ripetersi di tale spettacolo con severi provvedimenti a carico dei responsabili.

La località – sottolinea la Questura - del tutto aperta e completamente esposta al pubblico, per di più priva di ogni e qualsiasi riparo o spogliatoio, non può ritenersi assolutamente adatta per essere adibita ad uso di pubblici bagni

Del resto il regime fascista non poteva permettere simili rilassatezze contrarie alla morale e all’ordine pubblico. La lettera del Questore è severa quando richiama le rigide disposizioni del Governo Nazionale.

La zona del Bullicame è stata sempre “chiacchierata” attraverso gli anni e lo è anche oggi. Già qualche secolo prima, nel 1469, lo Statuto di Viterbo imponeva alle prostitute di non lavarsi alle fontane pubbliche della città ma di andare a fare le abluzioni al Bullicame che era pertanto diventato un bordello dehors. Quando lo vide Dante, nel viaggio a Roma per il Giubileo del 1300, i ruscelli che dipartivano dalla caldera era utilizzati dalle “pettatrici”, termine ambiguo che taluni hanno tradotto in “peccatrici”.

Va ricordato che Viterbo in quel periodo, da poco Capoluogo di Provincia (1927), era tutta un fervore di iniziative e trasformazioni urbanistiche – una su tutte la copertura dell’Urcionio per ricavarne via Marconi - che riguardarono anche la zona termale con la costruzione nei primi anni Trenta della mega piscina e di uno stabilimento su cui si sarebbe poi innestato il complesso di Terme dei Papi.

La speranza di oggi è che tutta l’area della caldera diventi un giardino come naturale espansione dell’adiacente Orto Botanico.

 

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