La Chiesa di sant'Orsola
(Archivio Silvio Cappelli)



Viterbo
STORIA PERDUTA

A Viterbo ci si accorge di una chiesa abbandonata se qualcuno ruba i suoi quadri, e ciò è accaduto, sì alla Chiesa di sant'Orsola in Via san Pietro. Per l'amore che ha di Viterbo, fortuna ha voluto, che i quadri li fotografò l'amico e studioso, Silvio Cappelli, intorno al 1997.

Le foto non sono un ganché per la cattiva illuminazione della chiesa stessa, ma almeno danno l'idea di ciò che abbiamo perduto e sarà da deterrente per chiunque voglia acquistare le tele rubate.

Le tele raffigurano Santa Lucia e la Madonna Immacolata.

Ma non la faccio troppo lunga, voglio farti conoscere, a te che mi stai leggendo, la storia della chiesa ormai in disuso da poco dopo il 2000, quando fu tolta ad associazioni che la gestivano e vi svolgevano le loro attività.

 

Chiesa di sant’Orsola

dal mio libro del 2002 "L'illustrissima città di Viterbo"

La Chiesa di sant’Orsola era già detta di san Giovanni in Pietra e si trova menzionata nel 1190.

Sin dal 1207, per ordine di Innocenzo III, fu soggetta all’Abbazia di san Martino al Cimino ed era tributaria di parte delle rendite alla Cattedrale. Nel 1256 il rettore della chiesa non volle sottostare a quel pagamento e fu scomunicato. La controversia si protrasse talmente che se ne dovette occupare, nel 1277, anche papa Giovanni XXI.

Nel 1341 Tuccio del fu Nardo da Viterbo, fabbro nella Contrada di san Giovanni in Pietra, lasciò venti soldi per acquistare un panno da utilizzare ad ornamento dell’altare maggiore.


Martirio di sant'Orsola sull'Altare maggiore
(Archivio Silvio Cappelli)


Nel 1347 Gemma del fu Giovanni da Viterbo lasciò quaranta soldi per l’acquisto di un calice d’argento. L’anno seguente, Sandro di Paolo Zuccari, rettore della chiesa, donò dieci libbre di paparini per la realizzazione di un tabernacolo, concesse anche un terreno, scrive Corrado Buzzi, «nel tenimento di Viterbo nella contrada Castagneto di S. Corona “pro satisfactione” del tabernacolo offerto da Pandolfuccio Capocci».
Lo stesso donatore fece un lascito per alimentare una lampada ad olio che si trovava davanti all’immagine di san Giovanni Battista.

Vi era la cappella, nel 1416, di sant’Antonio.

Nel 1562 la parrocchia fu ripartita tra quelle di san Leonardo e di san Pellegrino, mentre i beni furono assegnati alla Chiesa di santa Maria Nova.

Nel 1570 la Confraternita di sant’Orsola, proveniente dalla vicina Chiesa di san Pietro dell’Olmo, vi si trasferì, e, riedificando il tempio, impose il titolo di sant’Orsola. Vestiva di sacco bianco con mozzetta rosacea, per fine aveva quello di dotare le zitelle, di educare e di assistere le ragazze povere. Nel 1588 la Confraternita prese il tempio in enfiteusi dal priore della Chiesa di santa Maria Nova.


Santa Lucia
(Archivio Silvio Cappelli)




Nel 1622, oltre l’altare maggiore, vi erano gli altari del Crocifisso e di santa Lucia. Di quest’ultima, sull’altare a destra, è il quadro, che nel 1749 fu restaurato da Domenico Corvi, raffigurante la Santa.
I primi lavori da lui eseguiti furono proprio per la Confraternita di sant’Orsola della quale faceva parte.

Sull’altare maggiore è la tela Il martirio di sant’Orsola.

Sull’altare a sinistra è un dipinto con la Madonna Immacolata.

Dopo il 1641 il pittore Giovan Francesco Romanelli (1610 c. - 1662) eseguì lo stendardo della Santa titolare.

E’ del 4 Ottobre 1659 il testamento di Lucrezia Lancetta, rogato da Carlo Riccioli, col quale la medesima lasciò la sua eredità alla Confraternita di sant’Orsola per dotare una zitella da marito, estratta a sorte.

Madonna Immacolata
(Archivio Silvio Cappelli)

 

Nel 1702 Bartolomeo Pettirossi concesse duecento scudi alla Confraternita per la nuova chiesa, da erigersi entro tre anni. Verso la metà del 1700 furono eseguiti i lavori di ristrutturazione che fecero assumere alla chiesa l’attuale aspetto. 

La Congregazione dei Dodici, che amministrava la Confraternita di sant’Orsola, il 6 Dicembre 1746, per ricostruire la chiesa e l’oratorio contiguo, dette l’incarico all’architetto Nicola Carretti, il quale eseguì un disegno che fu esaminato l’8 Marzo 1747 assieme a quello di mastro Bernardino Ponti.

La Congregazione aveva anche deciso di far eseguire la costruzione a Francesco Giorgioli, «uomo pratico e capace di Fabbriche». Ma il 13 Aprile 1747, venne esaminato un altro disegno eseguito da Francesco Ruggeri insieme a Domenico Corvi, «il qual disegno essendo piaciuto a tutti della Congregazione questi hanno risoluto li si debba dare esecuzione con la preventiva unione di tutto il corpo della Compagnia». Ma il 16 Aprile la Congregazione decise di inviare all’architetto Niccolò Salvi tre disegni perché scegliesse il migliore.

I tre disegni erano stati eseguiti da Nicola Carretti, Bernardino Ponti e Francesco Ruggeri. Salvi scelse quello del Ruggeri. Scrive Italo Faldi:
«Che il nome del Corvi non compaia più sembra indicare che la sua collaborazione progettuale col Ruggeri dovette essere del tutto in subordine; né l’edificio realizzato mostra alcun tratto che si possa riferire alla sua genialità creativa quale ne contraddistingue l’opera pittorica».

Il 6 Maggio 1753, la Congregazione dei Dodici decise di far dipingere al Corvi (1721 - 1803) lo stendardo della Confraternita, ormai andato disperso, che vi lavorò a Roma dal 1754 al 13 Aprile 1755. Costò 158 scudi e vi era raffigurata la santa titolare.

Pitturò pure, nel 1749, un tondo con raffigurato san Giovanni Evangelista in estasi e l'aquila, ora al Museo del Colle del Duomo. Per Faldi è «la sua prima opera fino adesso riaffiorata», era sull’altare di destra in una cornice di stucco e formava il sottoquadro del quadro raffigurante santa Lucia restaurato dallo stesso pittore.

La Congregazione di Carità, nel 1892, ricevette in gestione tutti i beni della Confraternita di sant’Orsola.

La Confraternita nel 1907 eseguiva ancora le sue funzioni, tanto che il 21 Ottobre di quell’anno, come dimostra un documento che possiedo, elargiva «alla zitella Signorina Maria Ribeca la somma di L. [lire] Cinquanta provenienti dai frutti dell’eredità a tale effetto lasciata dalla B(uona) M(emoria) di Lucrezia Lancetta», come sopra ho riferito, infatti il governatore della Confraternita, Augusto Giammaria, alla ragazza comunicava «essere voi estratta dal Bossolo delle oneste Zitelle ammesse a godere questo dotale sussidio, la qual somma di L. [lire] Cinquanta promettiamo farvi pagare dal nostro Camerlengo liberamente con ricevuta altergata al presente, subito che sarete maritata e presentato i certificati tanto Parrocchiale che dello Stato Civile in conformità del nostro decreto in data 1° Gennaio 1888».

Nel 1909, su decisione del Capitolo provinciale, furono allontanati definitivamente i frati Carmelitani scalzi dalla Chiesa di san Giuseppe e Teresa, in Piazza Fontana Grande, e su pressione del vescovo Grasselli, furono ospitati dalla Confraternita di sant’Orsola, in una residenza, prossima alla loro chiesa. L’ospitalità durò fino al 1915, infatti, per difficoltà oggettive d’ambientazione, ne fu decretato il definitivo allontanamento.

Sulla facciata è scritto: Templum ven. Societatis S. Ursulae.

Già adibita ad uso di autorimessa, poi a magazzino comunale e a falegnameria, dal 1997 è stata sede dell’Associazione culturale Frisigello che provò ha raccogliere danaro per restaurarla e che la trasformò, alla meno peggio, in Museo della Macchina di santa Rosa, infatti, vi furono riuniti numerosi pezzi delle Macchine che hanno sfilato negli anni trascorsi lungo le vie di Viterbo. 

Vi si conservavano, tra l’altro, le parti che compongono le basi della Macchina ideata da Roberto Ioppolo e da Maria Antonietta Palazzetti in Valeri.

All’interno è la scritta, che poi è quella coperta dalla tribuna dove era l’organo:
Dom Iacobo Crivellati nobili / Viterbien confratri cujus / aereditario asse templum hoc / funditus reparatum est Societas / sanctae Ursulae addito ad hoc / opus sui aeris supplemento grati / animi monumentum posuit anno / salutis MDCCLII / F N Moretti f. anno MDCCCLXVIII.

Nella sacrestia è una pietra in peperino con scolpito sul fronte il sole raggiante e in basso l’anno 1584 venne usata come fontanella. 

Sul muro esterno della stessa sacrestia è ancora una mola in granito, ciò mi permette di ricordare che nel 1411, nei pressi, era un mulino. In una nota del 1941, don Alceste Grandori dichiara che nella chiesa vi erano tre campane delle quali la grande del 1632 e la media del 1462.

Mauro Galeotti

 

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

Salva

chi è on line

Abbiamo 936 visitatori online

 

 I libri

di Mauro Galeotti

 

Cartonato - pag. 246 - euro 25,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it

Cartonato - pag. 808, a colori
da euro 120,00 a euro 80,00
in esaurimento, per l'acquisto
scrivere alla email spvit@tin.it