Viterbo STORIA Un Caffè che merita ogni attenzione perché sia salvata la sua epica storia viterbese
di Mauro Galeotti

Buona parte delle notizie sono tratte dal mio libro
"L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002

Viterbo, il Caffè Schenardi ai tempi di Renzo Javarone, anni '60

Ai nn. civici 11 e 13 del Corso sono gli ingressi allo storico Gran Caffè Schenardi, portato alla notorietà da Vincenzo Schenardi.
Tra i personaggi che conobbero le specialità Schenardi furono papa Gregorio XVI il 3, 4, 5 di Ottobre 1841; il generale Giuseppe Garibaldi l’8 Maggio 1876; lo scultore Pio Fedi nel 1876; Guglielmo Marconi, Vittorio Emanuele di Savoia conte di Torino al quale fu offerto dal Comune un banchetto il 2 Settembre 1901 tenuto nel Palazzo dei priori.

Ed ancora, il compositore Umberto Giordano (1867 - 1948); il duce Benito Mussolini il 27 Maggio 1938, che prese un cappuccino al terzo tavolo di destra, qui un camerata gli gridò, «Duce! Vi vogliamo a Viterbo!». E il duce, «Mi pare di esserci!».

Curioso un fatto accaduto quel giorno, che è confermato sul giornale La Voce del Lavoratore, del 17 Marzo 1946, in un articolo, ove viene stilato un «elenco dei firmatari della lista» dell’Uomo Qualunque:
«Magoni Antonio, fascista che leccò la tazza dove prese il caffè Mussolini».

In tempi più vicini a noi hanno fatto visita al caffè:
il regista attore Orson Welles, che a Viterbo ha girato il film Otello (1951); Christian Jacques; Carol Martine; il giornalista scrittore Orio Vergani; lo scrittore Bonaventura Tecchi, nato a Bagnoregio l’11 Febbraio 1896 e morto a Roma il 30 Marzo 1968, nominato cittadino onorario di Viterbo il 25 Giugno 1964; Gustavo VI Adolfo re di Svezia con le principesse Cristina e Margaretha; Alberto Sordi e Federico Fellini ai tempi del film I vitelloni (1953) girato a Viterbo e una miriade di importanti scienziati e accademici di ogni materia.
L’edificio ove è il caffè risale al secolo XV e fu di proprietà di tal Girolamo da Carbognano, segretario comunale dal 1489 al 1493. Dal 1493 fu Banco e Fondaco dei Chigi che chiuse verso la prima metà del XVI secolo.

Verso il 1528, divenne proprietario dell’edificio Antonio Boninsegni, già cassiere dei Chigi, che ebbe per socio Domenico Bonelli delle cui famiglie è rimasto sulla facciata lo stemma:
partito al 1° allo scaglione accompagnato da tre gigli posti in palo, due nel capo ed uno in punta (Boninsegni); al 2° con due stelle nel capo, l’ariete passante nel corpo e una quercia con radici in punta (Bonelli).

In alto quasi come un trofeo è la fiera testa di un ariete. Il palazzo passò poi ai Bussi e nel 1546 ai Verreschi, i quali avevano lo stemma: di rosso alla fascia d’argento, caricata da un verro passante al naturale. 

Nel 1798 fu acquistato dall’appaltatore della posta Giuseppe Cassani di Roma che lo trasformò in Albergo Reale. Restò con questo nome fino al 1818 quando, in un elenco delle proprietà per l’applicazione della tassa sulle strade lastricate, risulta essere di Andrea Cassani, che a sua volta lo faceva gestire da Paolo Bombacione.

Da questo anno, entra in possesso di alcuni locali, Raffaele Schenardi di Napoli, che sugli atti dell’epoca era detto Schienardi oppure Schinardi. Questi vi aprì, al piano terra, un ristorante ed un caffè, mentre l’albergo rimase in attività. Scrive padre Pio Semeria, intorno al 1825:
«Nel dì 30 di marzo [1821] giunse in Viterbo il Principe di Sassonia colla moglie e figli, pernottò all’Albergo reale, ascoltò la mattina seguente la Messa al Suffragio, e partì per Roma».

In una ricevuta di alloggio che possiedo, ho la conferma che l’Albergo Reale, ancora così denominato, esisteva nel 1841 e che era gestito da Pietro Paolo Cassani. Tanto è vero che il 7 Ottobre di quell’anno, Raffaele Schenardi pagò diciotto scudi al Cassani per aver utilizzato tre camere e cinque letti per quattordici giorni. Raffaele Schenardi nel 1841 fu definito: caffettiere e cuoco.

Dal 3 al 5 Settembre 1841 Schenardi, assieme a Luigi Castolfi, credenziere, e Giuseppe Bertini, trattore, organizzarono «il Trattamento di Tavola e Credenza dato a Sua Santità [Gregorio XVI] e Corte Pontificia consistente in un Pranzo due Trattamenti Serali, due Cene, e due Colazioni» nei giorni sopra descritti.
Trovo, in un resoconto di alimenti forniti da Schenardi in quell’occasione, anche Carote 2 vasi, riferendosi alle famose Carote di Viterbo per un totale di uno scudo e trenta baiocchi.

In antagonismo con un circolo che aveva sede nel Palazzo Bussi, nel 1848 si riuniva nel caffè il Circolo Popolare di Viterbo che aveva per fine la diffusione della cultura anche attraverso la lettura dei giornali e dei libri. E’ questo il periodo di fervore nel cui locale venivano diffuse le notizie provenienti da Roma. Col Governo pontificio il caffè fu scelto quale sede preferita dagli ufficiali della guarnigione francese.

Nel Luglio del 1851 la polizia controllò il caffè di Raffaele Schinardi, già residenza del Club demagogico nell’anarchia dell’anno 1849 e il capitano di questa, Filippo Rossi, si lamentò col suo superiore per la difficoltà incontrata nel vigilare le numerose persone che frequentavano il locale, nel quale il proprietario offriva cibo a buon mercato. Infatti, per soli tredici baiocchi, offriva un menu consistente in una «bona minestra, lesso, e due altre pietanze e con pane, vino, frutti e formaggi».

Nel 1855 il caffè fu rinnovato dai proprietari Vincenzo e Crispino Schenardi, su disegno dell’architetto romano Virginio Vespignani.
Il progetto prevedeva quattro navate, ma non fu possibile realizzarle completamente, inoltre vi erano quattordici nicchie occupate da altrettante statue di soggetto mitologico ed eseguite da artisti della scuola del Canova.

Addirittura gli specchi, con larghe cornici dorate, furono acquistati a Parigi e Schenardi vi impiantò l’illuminazione a gas, installandovi numerosi becchi per una luce meglio diffusa in tutto il locale.
Nella Primavera del 1859, i fratelli Schenardi, per offrire il meglio alla loro clientela, fecero venire da Napoli un famoso gelatiere, Ciro Caivano, e fu tale il successo che «la produzione di “don Ciro” riscosse immediatamente il plauso dei viterbesi. E per molti anni egli continuò a venire a Viterbo nel mese di maggio per ripartire alla fine di settembre», è questo un ricordo di Giovanni Mazzaroni scritto (1954) sul settimanale Viterbo Oggi.

Particolarmente interessante è una lettera del 9 Febbraio 1861, nella quale il direttore generale di polizia sottopose al delegato apostolico di Viterbo l’opportunità di indagare su Innocenza Tondi, la quale accolse nella sua casa la figlia del caffettiere Schinardi, che ricamò una bandiera tricolore.

Già il 18 Luglio 1851, il capitano di polizia Filippo Rossi, informava così il suo capo Dasti sulle figlie di Schenardi:
«Dove non arriva la malizia di questi [Raffaele Schenardi], vi giunge quella delle donne, che appunto lo Schinardi tiene due figlie molto scaltre, che sanno tirare a sé addoratori, e sono queste, di deciso partito repubblicano».

Il falegname - cronista Carlo Antonio Morini, in merito ad una riapertura del locale, probabilmente ristrutturato, scrive:
«adi 27 luglio 1862 fu aperto il Caffè nuovo di domenica ore 11 e mezza avante meridiane li patrone del caffè del nuovo fabbricato appartiene a Vincenzo Schenardi cafettiere. Per cinque giorni il caffè assoluto si pagava bajocchi 2 per ogni caffè. 
La granita si pagava bajjocchi 10 un gelato si pagava bajjocchi 12 ed altri ligori [liquori] a parte tutto dopo esemppre per sole 5 giorne detto caffè è aperto in Viterbo a la piazza delerba».

Simpatico questo Avviso acrostico redatto da I giovani del caffè Schenardi nel Natale del 1865:

C arissimi e Onorevoli Signori
A vendo a cuore che le antiche usanze
F orti restino, e salde e che di fuori
F atali non ci piovan costumanze,
E’ stato decretato dai latori
S ottoscritti, che previe le speranze
C omuni, ... i splendidissimi avventori
H anno a saper le nuove risultanze
E difeso augurar la bonne année
N oti bene s’intende per quest’anno,
A vendo riportato il s’il vous plait.
R imane fermo il resto, ed ha valore
D i legge senza pregiudizio e danno...
I n questo mondo chi non mangia muore.

Una fattura che ho, del 1869, riporta nell’intestazione: Fratelli Schenardi, pasticceri, confettieri e liquoristi. Rinfreschi per qualunque occorrenza e servizi relativi. Vini forestieri, conserve di tutte qualità, piatti a piacere.

Nello stesso anno, come poi avvenne in seguito, Schenardi fu incaricato del rinfresco offerto dal Comune agli ospiti nel Palazzo comunale, tenuto la sera del passaggio della Macchina di santa Rosa, il costo fu di lire cinquanta.

Poi, agli inizi degli anni ‘70 è Caffè ristoratore Vincenzo e fratello Schenardi. Mentre una nuova pasticceria e bottiglieria fu aperta ai primi di Marzo del 1874 «nel locale a destra dell’ingresso all’Albergo, adattato con tutto buon gusto ed eleganza, in guisa che formerà un degno accessorio al Caffè e sarà un nuovo ornamento per la città». Così riferisce la Gazzetta di Viterbo del 7 Marzo 1874.

Nel 1877 trovo, sempre su intestazioni di fatture che possiedo: Vincenzo e Fratello Schenardi albergo e ristoratore, caffè, pasticceria. Successivamente, nel 1883, venne aggiunto: Direttori del grande Albergo dell’Angelo. Stabilimento balneario. L’albergo era in Piazza delle Erbe.

Il giornale La Difesa, del 16 Luglio 1886 loda i fratelli Schenardi «per avere nell’abbellimento delle loro proprietà in via del Corso Vittorio Emanuele rispettata l’estetica dell’arte con il ritornare allo stato naturale gli ornamenti in peperino». 

Lo stesso giornale, del 7 Dicembre 1886, comunica che presso il caffè sono state sperimentate, con successo, nuove lampade per il gas: 
«Esse servono per depurare il gas ed a renderlo più vivo ed intenso».

Il Caffè condotto dai fratelli Vincenzo e Crispino Schenardi, il 24 Maggio 1890, dopo essere stato riabbellito e restaurato, venne aperto al pubblico. 

Leggo sul giornale Il Progresso del 25 Maggio 1890:
«Le pitture che adornano le lunette del caffè, sono indovinate, e quali si convengono ad un locale destinato a quell’uso. 
Noi, mentre ci rallegriamo coll’autore, sig. [Arturo] Bianchini, siamo lieti di riconoscere che i signori Vincenzo e Crispino Schenardi fanno di tutto non solo per contentare i loro avventori, ma anche per mantenere un locale che è decoro della città».

Questo però è l’ultimo anno di proprietà del caffè da parte dei fratelli Schenardi, infatti, sul giornale Il Corriere di Viterbo dell’8 - 9 Novembre 1890 leggo l’inserzione:
«I Fratelli Schenardi cedono in affitto i loro avviatissimi negozi cioè: Caffè, Pasticceria, Restorante e Cucina, Fabbrica Birra e Gazzosa, tanto in complesso, quanto separatamente: cedono anche le due botteghe presentemente affittate al sig. Vittori. Dirigere le domande agli stessi in Viterbo».

Nel 1891 il caffè è condotto da Riccardo Ramondini, come riferisce il giornale Il Corriere di Viterbo del 7 Marzo di quell’anno.
Poi, alla fine dell’800, lo gestisce Vincenzo Colesanti, il quale in una fattura che ho del 1899 afferma: Casa fondata nel 1840. Successore ai Fratelli Schenardi.

Pubblicizza: la sua Fabbrica di birra e gazzose, il bigliardo, i liquori, le conserve, le bomboniere di lusso, le Scattole per battesimi, nonché le carote specialità della Casa. 
Ovviamente erano le squisite e rinomate Carote di Viterbo, premiate alle Esposizioni di Roma e di Vienna.

Segue, quale proprietario, Adolfo Giordano che nel 1901 allestì un banchetto per Vittorio Emanuele di Savoia conte di Torino come ho già scritto. In quell’occasione fu stampata una cartolina con raffigurato il conte, con la scritta:
S.A.R. il Conte di Torino / Giudice di Campo nelle manovre di Campagna a Viterbo.

Scrive Francesco Cristofori sul suo giornale Viterbo il 22 Settembre 1904:
«Onore al merito. La ditta Schenardi si meritò pel pranzo militare municipale del XXVIII agosto il plauso degli anfitrioni e dei convitati. Fa essa davvero onore alla città e alle sue tradizioni gloriose e vetuste».
Il giornale L’Urcionio, del 22 Luglio 1910, riporta un articolo in cui si afferma, erroneamente, che viene festeggiato il «cinquantenario del primo caffè di Viterbo».
Leggo:
«Il colore del magnifico ritrovo è di un bellissimo bianco perlacco con lievi sfumature nei riguardi. 
Il piancito in stile pompeiano di mattonelle fra le migliori [è] del rinomatissimo Stabilimento del Signor Guido Vianini [di Roma]».

Poi, fino al 1922, fu gestito dalla Società Pelliccioni e Viola, nel 1923, dopo un periodo di cattiva gestione, il locale storico viterbese chiuse i battenti. Venne rilevato, il 25 Luglio 1924, da Renato Coltellacci, proprietario di avviati caffè a Roma, e riaperto ai primi di Settembre del 1924.

Sul giornale La Rocca, del 14 Luglio 1924, leggo che «Sarà cambiata l’attuale tinteggiatura giallina, sarà abolita la retrostante sala da gioco (quest’ultima verrà trasformata in sala da thè) il cortile diverrà un ridente giardino».

Su una sua carta intestata Coltellacci fece stampare: Gran Caffè Schenardi.

Ancora sul giornale La Rocca, del 3 Settembre 1924, trovo scritto:
«Il servizio inappuntabile, la bontà dei prodotti, la mitezza dei prezzi, hanno attirato fin dai primi giorni numeroso e distinto pubblico. 
E la famosa Gianduia alla panna, e i pasticcetti Gnocchi che sono una vera specialità, hanno solleticato la gola di tutti i buongustai. 
Ottime le paste notevolmente ribassate, squisito e pieno d’aroma il caffè».

Coltellacci eseguì altri restauri che videro il locale, aperto al pubblico, nel pieno del suo splendore, alla fine di Novembre del 1924, fu in questo momento che si unì a lui, in società, Gennaro Cattolico «che per lungo tempo ha diretto i servizi di restaurant a Palazzo Reale».

All’interno è il busto di Vincenzo Schenardi eseguito dallo scultore Filippo Antonio Cifariello, nato a Molfetta il 3 Luglio 1864 e morto suicida a Napoli nel 1936.

Chiuso alla fine del 1925, nel 1926, sventata la possibilità di acquisto da parte della Banca Regionale, la quale voleva aprirvi uno sportello apponendo sopra i due accessi una targa pubblicitaria lunga sei metri e mezzo ed alta settanta centimetri, fu nuovamente aperto con contratto datato 23 Marzo 1927, con cui Teodolina Schenardi in Bianchini, affittava il caffè ai fratelli Antimo e Pietro Javarone.

Questi, il 6 Aprile di quell’anno, costituirono una società con Carlo Minciotti e l’esercizio fu aperto il 17 Aprile 1927, alle 18,30, con il concorso finanziario di seimila lire annue da parte del Comune di Viterbo.

Nel 1936 uscì dalla società il Minciotti e successero, dopo la morte dei fratelli Antimo e Pietro Javarone, i figli Adriana, Celestino e Renzo. I tre, il 21 Dicembre 1953, acquistarono l’immobile ove era il caffè dagli eredi di Schenardi, Maria Luisa Bianchini e Vincenzo Bianchini.

Divenne di nuovo, grazie all’impegno degli Javarone, il Gran Caffè Schenardi, come l’aveva chiamato Coltellacci, e fu dagli stessi gestito dal 1945 al 1980. Sotto la loro conduzione venne realizzato il cocktail Schenardi 103, originale specialità realizzata in occasione dei centotre anni di fondazione del caffè.

Fu questo un periodo di notevole splendore, specialmente per l’interesse culturale che Renzo Javarone volle creare attorno ai frequentatori del suo caffè.

Tra le iniziative di quest’ultimo sono gli Amici del sabato sera e la Fiaccola etrusca alle Olimpiadi di Roma. 

Conduttori ed amici coraggiosi furono gli Javarone, i quali mi permisero, alla fine degli anni ‘70, di esporre sul bancone del loro caffè il Trofeo ravvediti. Consisteva in una coppa, vinta simbolicamente da quell’amministratore pubblico che aveva trascurato un problema che interessava la città. Erano i cittadini a votare l’amministratore poco solerte per mezzo di telefonate a Radio Verde, dove conducevo la trasmissione La linguaccia assieme a mio zio Bruno Matteacci.

Davanti alla coppa venivano quindi scritti il nome, il cognome, l’incarico pubblico e il problema non affrontato dall’amministratore preso di mira.

Il 2 Marzo 1980 il Caffè Schenardi chiuse i battenti per gli ormai necessari restauri e per il cambio della ragione sociale, così restò fino al 28 Maggio 1987, giorno di riapertura dell’esercizio.
Proprietari, a questo punto, sono Dante Bagnaia con il figlio Andrea Bagnaia-Rosati e Lanfranco Lanzi.

I lavori di restauro sono stati diretti e progettati dal noto arredatore Franco Fiorucci, che ha operato in coordinazione con il soprintendente architetto Gianfranco Ruggieri e l’architetto Graziella Flamini della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali.

Il lucernario e le porte caratterizzati da pregevoli vetrate artistiche realizzate a vetri bollosi antichi, con l’inserimento di decori stile napoleonico in opalescente, sono stati creati dalla romana Fiorella Grazia Piantini e realizzate dal famoso Studio Giuliani di Roma.

In fondo al caffè è il Giardino d’Inverno aperto dove era già l’antica corte dell’Albergo Reale. Sul muro è una pregiata fontanina che raccoglie l’acqua in una vasca rettangolare e un mascherone che la fa defluire.

Al di sopra è un frammento in marmo, con scolpita una bella figura e una lapide che, in latino, ricorda la visita di Caterina d’Austria nell’Albergo Reale. La pavimentazione in marmo, è opera di Tommaso Mancini.
Con decreto del Ministero dei Beni culturali, del 31 Dicembre 1980, il Gran Caffè Schenardi è stato dichiarato di particolare interesse storico e artistico.

Il 22 Dicembre 1999, alle 11,30, dopo vari tentativi di apertura seguiti da chiusure, il locale è stato inaugurato dalla catena mondiale McDonald’s che ha riportato l’intera struttura agli antichi splendori, pur dando quel tocco di modernità, al passo coi tempi. La grande azienda ha conservato l’antica denominazione e l’esercizio di caffè, pur non rientrando ciò nella politica commerciale della McDonald’s.

Il gruppo Segafredo, prestigioso marchio nel settore del caffè, nel settembre 2008 rilevò l’attività commerciale dall’imprenditore Primo Panaccia, lasciandogli la gestione dei seicento metri quadrati del locale, ossia il bar, il ristorante e la pasticceria. Panaccia, imprenditore molto noto e apprezzato nel mondo della ristorazione, gestì in team con Simonetta e Andrea Moncelsi.

Per festeggiare l'importante momento il 10 settembre 2008 dalle ore 17 venne organizzato un 'caffé-day', durante il quale ad ogni cliente è stato offerto un Espresso Segafredo Zanetti.

Tutto ciò fino alla fine del 2010, quando a Primo Panaccia è subentrata un’altra società fino all’agosto del 2012, poi fino al 1° ottobre 2013 la Segafredo ha gestito l'intero caffè.

Così il 4 Ottobre 2013 decide la chiusura del Caffè Schenardi per gli elevati costi di conduzione e locazione, non più sostenuti dalle entrate.

Mauro Galeotti

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