Viterbo IL RACCONTO Deborah ascoltò incantata quelle parole e sentì intimamente che qualcosa di grande e bello stava avvenendo
di Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Deborah – Parte prima

 

Shirley MacLaine

     Dato lo spirito di scarsa convinzione con il quale era stata iniziata, la ricerca del ‘buon partito’ risultò inconcludente.

     Da una parte mamma Rosa  prendeva in considerazione i figli degli amici di famiglia e trovava certamente dei giovani interessanti soprattutto per l’aspetto finanziario, ma appena li proponeva a Deborah, che per lo più li conosceva già almeno di vista, lei li scartava subito con un pretesto, senza neppure tentare un approccio.

     Dall’altra parte la figlia esaminava il gruppo dei suoi amici e non trovava alcuno che le ispirasse il desiderio, non dico di una vita in comune, ma neppure di un prova di fidanzamento.

     In realtà c’erano due motivi che  bloccavano Deborah: uno era l’impulso inconscio, ma non proprio del tutto inconscio, di respingere a priori le indicazioni della madre per puro e semplice spirito di contraddizione oppure per sfiducia nel suo criterio di scelta (quando mai i figli, appena divenuti grandicelli, si fidano dei genitori?); l’altro motivo era la convinzione che  fosse inopportuna una scelta che partiva troppo apertamente dalla donna. Aveva maturato questa convinzione attraverso l’educazione, l’osservazione della vita vera, i discorsi tra amici e, perché no?  attraverso quel pizzico di romanticismo che c’era ancora in quel tempo nell’animo dei giovani. E perciò aveva un condizionamento comportamentale che esigeva l’iniziativa dell’uomo nel fare  la proposta, o almeno nel presentarla formalmente. Naturalmente la donna poteva attirare l’attenzione del possibile marito mostrandosi in tutto il suo fascino e lanciando metaforicamente un amo con un’esca appetitosa, proprio come fa il bravo pescatore, ma non doveva gettare e ritirare brutalmente la rete e scegliersi il pesce migliore.

     Dunque Deborah si stufò presto di questa ricerca. E come poteva essere diversamente? Riprese la vita di sempre, spensierata allegra e informale, tanto da disubbidire alla madre che la voleva somigliante a Deborah Kerr (Rosa era proprio fissata su quest’icona) e quindi sofisticata ed elegante per fare bella figura in società. Quasi per ripicca accentuò invece la sua somiglianza con Shirley MacLane copiandone la pettinatura e soprattutto l’aspetto disinvolto e sbarazzino. Rinunciò alla ricerca e decise che per il marito avrebbe lasciato fare al destino.

     Il quale destino, o meglio la sua incarnazione umana, si presentò un giorno ad una festa da ballo organizzata dal solito gruppo di amici, e si presentò nelle vesti, anzi più precisamente nella divisa del sottotenente  dei carabinieri Stefano Monticelli.

     Costui aveva fatto parte del gruppo, ma se ne era allontanato quasi da un anno per fare il servizio militare di leva e si era ripresentato a quella festa essendo rientrato in città per una breve licenza.

     Deborah non lo riconobbe subito perché era molto cambiato e non solo per la elegante divisa nera con gli alamari ricamati d’argento. Era dimagrito e non aveva più l’aria del cucciolone un po’ timido e imbranato che l’aveva contraddistinto nel gruppo. Ora era sicuro di sé e questo si vedeva dal modo di muoversi, di controllare con padronanza la situazione e di parlare imponendosi all’attenzione. Deborah approfittò di un attimo in cui Stefano non era attorniato dagli amici né impegnato in un ballo con una delle altre ragazze, e gli andò incontro dicendo:

     “Ciao Stefano. Come ti trovo bene. Sei splendido. Sei diventato un altro…”

     Stefano sorrise, facendo finta di ignorare l’accenno alla trasformazione, che implicava in sottinteso la scarsa stima che aveva ricevuto da lei in passato. Ci era abituato a questo genere di allusioni e tutto sommato la cosa gli faceva anche piacere: ora gli amici gli riconoscevano le buone doti che aveva sempre avuto, ma che la timidezza gli aveva impedito di dimostrare. Rispose con gentilezza e diplomazia:

     “Anche tu sei cambiata. Sei più bella di prima. Sei fresca, allegra, piena di vita, sei affascinante come quell’attrice americana, Shirley MacLane… ce l’hai presente? naturalmente quand’era giovane. Lo sai che quell’attrice è sempre stata il mio idolo? E mi permetti di dire altrettanto di te?... che anche tu sei sempre stata il mio idolo, anche se prima non te l’ho mai detto? ”

     Deborah ascoltò incantata quelle parole e sentì intimamente che qualcosa di grande e bello stava avvenendo: l’incontro predestinato. In quel momento le graduatorie dei meriti e i criteri di scelta, discussi e concordati  con mamma Rosa, nemmeno si presentarono alla sua mente, avvertì invece un’ondata di calore invaderle il corpo ed ebbe un impulso irresistibile di toccare Stefano. Senza pensarci su nemmeno un attimo, lo abbracciò e lo baciò sulle guance, tutte e due. E non era certo un innocente bacio di amicizia, anche se era dato in un modo così casto. Stefano lo capì, ricambiò e rimasero così, abbracciati strettamente.

      Senza nemmeno rendersene conto cominciarono a muoversi, a danzare seguendo la musica. Lo stereo stava diffondendo le dolci note e la suggestiva voce di Claudio Baglioni in ‘Questo piccolo grande amore’…

     Finita la breve licenza, Stefano ritornò in caserma per il poco tempo che mancava alla fine del servizio militare e Deborah lo aspettò con la piacevole ansia e lo stato di moderata esaltazione che è caratteristico degli innamorati. I due si telefonavano tutti i giorni e si scambiavano dolci frasi romantiche che inventavano in un momento di eccezionale grazia creativa.

     Si dicevano, ripetevano, quelle frasi, sempre più o meno uguali, che gli innamorati di tutti tempi e di tutto il mondo hanno sempre detto illudendosi di essere originali e di inventare l’amore. Ma la ripetizione non è forse l’essenza della vita? Ogni seme che germoglia, ogni fiore che sboccia, ogni bimbo che nasce… non è forse la ripetizione del miracolo della ri-generazione?

     Stefano, finito il servizio di leva e ritornato borghese, ufficializzò il fidanzamento e cominciò a programmare il futuro. Era un giovane molto concreto che affrontava la vita con decisione e se cominciava un’attività la proseguiva con costanza e la portava regolarmente a termine. Era dunque l’esatto contrario di Deborah e forse proprio per questa diversità, che però era anche complementarità, i due si erano sentiti attratti.

     La saggezza popolare, che è tanto saggia da avere sempre ragione, anche se si tratta spesso di una ragione sibillina, afferma  che ‘gli opposti si attirano e si completano’, ma afferma pure, incurante della contraddizione, che ‘simile cerca simile’. Molti psicologi e sociologi si sono occupati della questione e hanno sostenuto, ognuno a modo suo, l’una o l’altra tesi. Invece a me sembra che incontrarsi e innamorarsi dipenda da una serie di tanti fattori difficili da inquadrare e che molto dipenda anche dalle circostanze e dal caso. Vediamo dunque a chi darà ragione il seguito di questa storia, cioè se la complementarità li terrà insieme o se la diversità renderà difficile il rapporto.

     *     *     *

     A questo punto, per avere un quadro chiaro della situazione, è necessario sapere qualche cosa di più a proposito di Stefano.

     Stefano era orfano di madre, morta subito dopo il parto. Il padre, professionista titolare di uno studio commerciale, era assolutamente inadatto ad allevare da solo il bimbo, sia per l’occupazione che lo teneva in ufficio per gran parte della giornata, sia perché era un uomo. Infatti la natura ha costruito l’uomo senza apparato lattifero, che ha previsto solo per le donne.

     Oggi questa verità fisiologica sembra non valere più, tutto è cambiato. Le donne pensano che le tette siano soprattutto uno strumento di seduzione ed evitano di usarle per lo scopo specifico dell’allattamento, per non deformarle, mentre i ruoli di mamma e papà sono esercitati indipendentemente dal sesso, così che donne e uomini svolgono indifferentemente tutte le mansioni genitoriali, compreso l’allattamento. Con latte artificiale, naturalmente! ‘Naturalmente’ è un modo di dire.

     Parità di diritti e obblighi? Uguaglianza dei sessi? Mi viene il dubbio che il problema, oggi assai controverso, circa la possibilità di adozione da parte di coppie omosessuali, non abbia più senso. Ci sono mammi e pape, cioè uomini che si comportano da mamme e donne chi si comportano da papà. Si dice che un bimbo ha bisogno di un papà e di una mamma? Ma oggi tutti portano i pantaloni e quello che c’è sotto è sempre meno importante (salvo che per la coppia in senso stretto, ovviamente).

     Ma negli anni cinquanta (Stefano era nato nell’anno 1956) c’era ancora una decisa diversificazione di quei ruoli, come da tradizione e da regole religiose e giuridiche. Perciò Stefano fu affidato, per l’allattamento artificiale e la prima educazione, alle cure di una zia anziana, nubile, seria e casta più di una suora. Poi fece le scuole medie in un collegio gestito da  religiosi, studiando con il massimo impegno e ottenendo ottimi risultati tanto da meritare una medaglia d’oro (era un uso attribuirla ai migliori studenti).   

      Però, come tutte le medaglie, anche quella aveva un rovescio: la notevole timidezza che il ragazzo si portò dietro, come pesante deficit di socializzazione, negli anni successivi. Ho già accennato che era pure entrato nel gruppo di amici di Deborah, ma proprio per quel motivo, la timidezza, stava con una certa difficoltà in mezzo a ragazzi irruenti e disinibiti.

     Il servizio militare di leva, svolto come ufficiale dei carabinieri, con tutta l’autorità e il grande prestigio di quella divisa e di quel ruolo, aveva per sua fortuna provocato una rapida maturazione e aveva trasformato un timido giovane in un uomo sicuro di sé e autorevole. Quindi, una volta che fu      libero dagli obblighi militari, si dedicò ad organizzare la propria vita e quella di Deborah nella prospettiva della vita in comune.

     Deborah non aveva mai lavorato, né aveva pensato di trovarsi un’occupazione, ma Stefano le propose, dato che aveva il diploma da ragioniera, di entrare nello studio del padre, dove lui lavorava già facendo pratica e preparandosi a divenirne il titolare. Il fidanzamento aveva molto maturato Deborah, ma non aveva eliminato la sua tendenza alle novità e ai cambiamenti e perciò accettò con entusiasmo questa nuova esperienza. E se la sua preparazione tecnica commerciale era piuttosto scarsa,  lei la compensava con l’intelligenza, e, se ci metteva l’impegno, riusciva a superare ogni difficoltà. L’impegno ce lo mise e le cose si avviarono per il meglio con soddisfazione di tutti.

     Contenti mamma Rosa e papà Celestino che vedevano la figlia divenire seria ed entrare in una buona famiglia.

     Contento il dottore commercialista Edoardo Monticelli, padre di Stefano, che si preparava a lasciare lo studio al figlio e a godersi un po’ di libertà, dopo una vita passata a fare lo schiavo del lavoro (nel lavoro si può essere schiavi anche di se stessi). Edoardo Monticelli, vedovo, allora poco più che cinquantenne, si sentiva giovane, e quindi, alleggerito degli impegni d’ufficio e di quelli di padre, poteva rifarsi una vita e, perché no? trovarsi una compagna.

     Stefano, in occasione del servizio militare, aveva imparato ad usare le grosse motociclette in dotazione ai carabinieri, e si era appassionato a quel mezzo di locomozione indubbiamente eccitante anche se piuttosto pericoloso. Tornato alla vita civile comprò una maximoto con la quale faceva lunghe gite la domenica con il tempo buono. Coinvolse anche Deborah che, all’inizio era piuttosto riluttante, ma per amore accettò quelle gite domenicali, anche se non arrivò mai a provarci un grande piacere. La moto è una passione e, come tutte le passioni, o ce l’hai oppure non te la puoi far venire, tutt’al più la puoi fingere per fare un piacere al compagno.

*     *     *

     Una teoria piuttosto paradossale afferma che una farfalla, se batte le ali a Pechino, può avviare una reazione a catena con l’effetto finale di scatenare una tempesta a New York. Si tratta del così detto ‘effetto farfalla’ che pretende di collegare un qualsiasi avvenimento, anche il più insignificante, a tutto ciò che succede nel mondo, dando il via ad una serie di azioni e interazioni in una rete di eventi talmente grande e incontrollabile che, al paragone, la rete del Web appare come un gioco da bambini.

     A me questo ‘effetto farfalla’ sembra un’esagerazione, ma so per certo che un insetto, un semplice insetto, può causare veramente un grave problema. Ed è proprio quello che sto per raccontare.

     Una domenica Stefano e Deborah percorrevano in moto l’Autostrada del Sole. Andavano veloci e tranquilli, confortevolmente inguainati in due nuove tute tecniche comprate per l’occasione, e pregustavano il piacere di trovarsi presto a Firenze, a piazzale Michelangelo, dove avrebbero partecipato ad un raduno di proprietari di moto come quella che avevano loro. Era una delle tante feste, un po’ ingenue e un po’ esibizionistiche, che si fanno ancora oggi, ma che erano molto di moda in quel periodo tra gli appassionati delle maximoto.

     All’improvviso un grosso insetto, forse un calabrone, colpì la visiera del casco di Stefano. Per effetto della velocità l’insetto si spiaccicò, si ridusse in una poltiglia appiccicosa e formò una macchia che disturbava la visione. Istintivamente Stefano staccò la mano sinistra dal manubrio e tentò di ripulire la visiera, ma ottenne il risultato di estendere la macchia e peggiorare la visibilità.

    Successe tutto in un attimo. La moto, poco controllata da una mano sola, fece uno scarto forse per un difetto dell’asfalto  o l’impatto con un detrito;  il manubrio, tenuto solo con una mano, sterzò  e la moto fu fuori controllo e andò a sbattere contro il guardrail…

     Deborah avvertì  il rumore di lamiere che cozzavano e fu sollevata da una forza invisibile, le sembrò di volare per un attimo, quindi sentì un urto del casco e  il raschiare della tuta sull’asfalto… poi fu il nulla…

     … riprese i sensi in un letto d’ospedale. Aveva qualche fasciatura, dolori sparsi e un forte mal di testa. Non ricordava cos’era successo e non capiva bene dov’era. Cominciò a prendere coscienza della realtà quando venne un medico che le disse con un sorriso:

     “Coraggio signorina. Va tutto bene. Niente di rotto, solo qualche contusione e un leggero trauma cranico. Fra due o tre giorni può tornarsene a casa.”

     “E Stefano? Dov’è? Come sta?” chiese ricordandosi all’improvviso, ma vagamente, della sbandata della moto.

     Il sorriso scomparve dal viso del medico:

     “Il suo compagno?… mi dispiace… l’hanno portato qui gravissimo e…non ce l’ha fatta…”

(Continua)

Agostino G. Pasquali

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