Viterbo IL RACCONTO Deborah si comportò nell’ultimo dei modi elencati: non disse nulla, non si agitò, pianse di nascosto lacrime quiete senza singhiozzi
di Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Deborah – Parte prima
IL RACCONTO: Deborah – Parte seconda

 

     Quando si subisce un trauma fisico e un più grave trauma psichico per la perdita di una persona cara, si può reagire in diversi modi:

- si resta inebetiti e atarassici, almeno per qualche tempo,

- oppure, se si è ottimisti come il Candide di Voltaire, ci si compiace della fortuna di aver evitato il peggio, e magari si ringrazia San Padre Pio e gli si dedica un ex voto

 

- o invece ci si arrabbia e si impreca contro chi pensiamo che abbia qualche colpa, anche se la colpa non c’è o è solo nostra,

- o ancora ci si abbandona ad una quieta disperazione con la morte nel cuore.

     Deborah si comportò nell’ultimo dei modi elencati: non disse nulla, non si agitò, pianse di nascosto lacrime quiete senza singhiozzi. A chi la osservava sembrò quasi insensibile e indifferente, ma era disperata e sentiva che era morta una parte di lei, la parte che le era più cara.

     Era la prima volta che provava la terribile esperienza della morte. Fino a quel brutto giorno la morte era stata per lei un evento che riguardava gli altri e, anche se era successa a conoscenti e parenti, non ne era stata coinvolta da vicino, non le aveva causato una perdita sensibile. Era stato come vedere immagini drammatiche in TV: gente assassinata o corpi straziati da bombardamenti o da attentati. Immagini del telegiornale che ci sconvolgono momentaneamente, ma poi viene la pubblicità che ci distrae, oppure, spento il televisore, tutto scompare dimenticato nella routine quotidiana. La perdita di Stefano non era così, la sua mancanza irrimediabile non poteva essere cancellata da nuovi avvenimenti o da uno spot commerciale.    

     Le furono necessarie un paio di settimane per riprendere una vita quasi normale, per uscire e tornare al lavoro, per accettare una realtà che aveva cercato in qualche modo di rifiutare pur essendo consapevole che ciò non era possibile.

     Particolarmente penoso fu tornare al lavoro e ritrovarsi con colui che sarebbe dovuto divenire suo suocero. Ovviamente lo conosceva molto bene, ma non aveva avuto tempo e occasione di entrarci in confidenza e si parlavano ancora con il ‘lei’, perciò il primo giorno in ufficio fu penoso. Deborah non avrebbe voluto tornarci in quell’ambiente, ma ne era stata pregata proprio dal dottor Monticelli, che ora era solo.

     Si abbracciarono, piansero entrambi, cercarono di dirsi parole di conforto, ma non le trovarono e solo con l’impegno nel lavoro riuscirono a distrarsi quel minimo che bastava per far riprendere la vita. Però da quel momento si sentirono più vicini perché condividevano la stessa perdita e concordarono di darsi del ‘tu’ e chiamarsi per nome.

*     *     *

     Come accade sempre alle persone normali, il passare del tempo risanò le ferite, e non solo quelle fisiche di Deborah, che erano lievi, ma anche quelle spirituali molto più gravi. Rimasero i ricordi che di tanto in tanto affioravano e inducevano lei e Edoardo (ora lei lo chiamava semplicemente per nome) ad interrompere il lavoro per scambiarsi parole, pensieri e ricordi in un dialogo affettuoso dal sapore dolce amaro.

     Fuori dall’ufficio Deborah aveva ripreso i contatti con gli amici e, ogni giorno che passava, il suo comportamento diventava un po’ più sereno. Lei stessa si stupiva di questa vitalità ritrovata, ma era consapevole che così è la natura umana e non si può, non si deve, vivere di rimpianti.

     Anche il dottor Monticelli aveva pian piano riacquistato interesse per la vita e l’ufficio e, poiché il lavoro era aumentato, non volendo gravare troppo su Deborah, aveva assunto un altro impiegato. Era costui un giovane ragioniere, Piero Derossi, che Deborah conosceva bene perché faceva parte del gruppo di amici. Fu lei a consigliarlo e a garantire per la sua competenza.

     L’ufficio venne riorganizzato in modo che il nuovo impiegato svolgeva il lavoro di massa, di routine, mentre il dottore trattava solo gli affari importanti.

     Ricevere i visitatori, ascoltare e risolvere i problemi comuni, filtrare e indirizzare al capo le questioni difficili o importanti, questo fu il compito di segretaria riservato a Deborah. Lei si dimostrò adattissima per questa mansione perché era molto più abile a trattare con le persone che a compilare moduli o a pestare i tasti delle macchine, dato che era intelligente, cordiale, simpatica e, cosa assai utile, aveva una bella presenza. È noto che gli uomini trattano molto volentieri i loro affari con una donna  bella. Non è giusto, ma è così. E questo vale anche per le donne, che sono sensibili alla bellezza femminile e ne diffidano solo quando può generare rivalità o gelosia. Il capo, il dottor Monticelli, apprezzò molto questa dote della sua segretaria e la incoraggiò a vestirsi e atteggiarsi in modo seriosamente seducente,  cioè attraente nella forma ma irreprensibile nel comportamento.

     Un giorno Deborah arrivò in ufficio vestita con un soprabito lungo che copriva una minigonna piuttosto mini. Tolto il soprabito si rese conto di avere un po’ esagerato e di rischiare di sembrare provocante, ma ormai in ufficio c’era e le pareva ridicolo chiedere un permesso per andare a casa a cambiarsi. Cercava però di non esporre troppo le gambe, che aveva ben formate e lunghe, anche per non attirare l’attenzione del collega, che era un bravo ragioniere, ma notoriamente donnaiolo. Rimase però sorpresa del disinteresse che costui dimostrò, e rimase ancor più sorpresa di notare invece le occhiate rapide ma evidenti che il capo le dava, e non c’era dubbio che la sua attenzione era diretta proprio lì, alle gambe. Deborah non era ancora entrata del tutto in confidenza con lui, tanto che lo considerava soprattutto ‘il capo’, pure se ora gli dava del ‘tu’. Però non era affatto timida e, in un’occasione di uno sguardo più insistente e chiaramente ammirativo, gli lanciò uno sguardo malizioso e gli chiese:

     “Che fai, Edoardo? Mi guardi le gambe? Devo coprirmi?”

     Il dottore arrossì appena un po’, sorrise amichevolmente e rispose:

     “Se tu le mostri… io le ammiro. Beato chi può godere una così bella visione. Sarei sciocco a non farlo.”

     Poi rivolto al giovane Derossi, che assisteva alla scena evidentemente curioso di vedere come sarebbe finita, chiese:

     “Lei, ragioniere, che ne dice?”

     Piero Derossi fu preso in contropiede perché non si aspettava una tale domanda dal capo, che con lui era sempre freddo e distaccato. Quindi rispose un po’ incerto:

     “Mah! Non saprei. Sono fidanzato con una ragazza gelosa, che è pure amica di Deborah. Se guardo le gambe a un’altra donna e lei lo viene a sapere, minimo mi cava gli occhi…”

     Dopo quel giorno avvenne una mutazione nel comportamento del dottor Monticelli. Fu più cordiale, cominciò a scherzare volentieri e si notò chiaramente un suo interesse crescente per Deborah. Prese l’iniziativa di far trovare spesso un fiore sulle scrivanie dei suoi collaboratori. Certo si trattava di una innocente gentilezza, ma se per Derossi era una gerbera o una margherita, per Deborah era sempre una rosa rossa.

     E lei capì subito che quell’interesse significava qualcosa, che poteva essere un delicato approccio nell’eterno gioco sentimentale ed erotico tra un uomo e una donna. Ne fu lusingata e sentì che poteva ricambiare il sentimento, ma non provò quell’attrattiva, quell’impulso che l’aveva spinta tra le braccia di Stefano.

     Deborah si interrogò sui misteri dell’animo umano e si chiese se sia vero che nella vita esiste solo un vero grande amore, ‘il primo amore che non si scorda mai’, e le venne il dubbio che sia ‘grande’ solo per un’illusione romantica, tant’è vero che quasi sempre, col passare del tempo, si attenua, svanisce e al suo posto subentra un prosaico affetto senza più slanci. E si chiese se un grande amore resta grande solo se s’interrompe prematuramente, ad esempio per un evento traumatico, com’era successo a lei. Solo così resta lo struggente ricordo del primo grande amore?

     Le venne poi anche uno scrupolo nel provare una simpatia non proprio filiale per il padre del suo primo amore. Poteva essere un sentimento scandaloso, addirittura incestuoso? Pensò però anche che in fondo lei e Stefano non erano stati parenti, così come lei ora non era parente di Edoardo. Non c’era parentela, e neppure affinità, perché non c’era stato matrimonio. Anzi tra lei e Stefano non era avvenuto neppure un rapporto fisico completo perché lui, educato secondo una rigida morale cattolica, voleva conservarsi casto fino alle nozze.

     Non seppe dare una risposta a tutti questi dubbi e interrogativi, e per pudore non si confidò con altre persone. Né con i genitori che sapeva piuttosto conservatori e un po’ bigotti, e tanto meno con un confessore, perché lei praticava poco le religione e degli uomini in tonaca non si fidava. Altro interrogativo: “Perché la Chiesa è così maschilista? Forse se fosse consentito anche alle suore di ascoltare le confessioni…”

     Ma tutto questo arrovellarsi non era conforme alla sua natura. Rinunciò a cercare delle risposte e decise che non doveva respingere a priori quell’approccio affettuoso di Edoardo. Le sembrava giusto seguire gli eventi e vedere la loro evoluzione.

(Continua)

Agostino G. Pasquali

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