Viterbo IL RACCONTO Deborah era quindi tentata di perdonare perché non sapeva odiare, non portava mai rancore
Agostino G. Pasquali

IL RACCONTO: Deborah – Parte prima
IL RACCONTO: Deborah – Parte seconda
IL RACCONTO: Deborah – Parte terza
IL RACCONTO: Deborah – Parte quarta

     Il giorno dopo Derossi non si presentò al lavoro e Deborah ne fu lieta perché, se fosse venuto, lei non avrebbe saputo come comportarsi, indecisa com’era tra  il mantenere un atteggiamento freddo e scostante e l’essere invece comprensiva e perdonare.

     Il giorno prima, appena Luisa si fu calmata, o meglio quando fu stanca di percuotere il fidanzato fedifrago, questo aveva chiesto scusa e perdono a tutti. Deborah era quindi tentata di perdonare perché non sapeva odiare, non portava mai rancore. Inoltre si chiedeva se non ci fosse anche in lei un po’ di colpa, avendo provocato, sia pure involontariamente. E le rimordeva pure un po’ la coscienza per aver coinvolto Luisa nel tranello preparato il giorno prima.

      Intanto il dottor Monticelli stava chiuso nella sua stanza e preparava la comunicazione di licenziamento. Rimase stupito quando Deborah gli disse all’interfono:

     “C’è qui Luisa che vorrebbe parlarti.”

     “Falla aspettare un attimo. Finisco una lettera, che poi te le do per batterla a macchina. Vi chiamo io.”

     Dopo pochi minuti arrivò l’invito:

     “Venite pure tutte e due.”

     Il dottor Monticelli salutò con un sorriso cordiale Luisa, la fece accomodare e porse a Deborah un foglio. Poi, prendendo un aspetto serio e autoritario, disse:

     “Quel foglio che ho dato a Deborah è la lettera di licenziamento. Lei, signorina, converrà con me che, prima ci liberiamo di quell’individuo, meglio è. Suppongo che lei lo abbia già lasciato…”

     Un attimo di pausa, un velo di rossore si accese sul volto di Luisa:

     “No, dottore, non l’ho lasciato. Non lo posso lasciare, anche se dovrei… lo meriterebbe…”

     “E allora? perché?”

     “ Perché… perché aspetto un bambino. Non lo sa nessuno. Non lo sapeva nemmeno lui, Piero, prima di ieri sera, quando ci siamo parlati per un chiarimento sul… fattaccio. Ha pianto, si è disperato, però era pure contento per il bambino e ha detto di essere pronto a sposarmi, ha promesso di cambiare. Ha detto che non sarà più un giovane scriteriato dato che sta per divenire padre. Sì, perché il figlio lo vogliamo tutti e due, anche se sappiamo quanti problemi e difficoltà ci saranno. Ci ripugna... buttarlo via… anche se ora c’è la legge che mi consentirebbe di abortire…”

     “Perché dice a me queste cose molto personali?”

     “Perché non possiamo essere famiglia, se non c’è un reddito. Piero ha bisogno del lavoro. Ma non se la sente di venire da lei a chiedere. Si vergogna troppo… Lei, dottore,  è un uomo e sa che gli uomini sono deboli di fronte alle tentazioni e più deboli ancora quando c’è da riparare un male, un torto… Tocca sempre alle donne perdonare e riparare. Mentre aspettavo di là ho parlato con Deborah, le ho detto tutto e lei è stata subito comprensiva. Ora sia comprensivo anche lei e ci aiuti…”

     “Non è esatto quello che lei dice… che tocca alle donne riparare. Tant’è vero che sono io che dovrei riparare il danno. Lei, donna, non ripara, si limita a chiedere… troppo facile e comodo, non le pare?”

     Il dottor Monticelli aveva un’aria terribilmente seria e Luisa sentì voglia di piangere, ma si trattenne per mantenere la sua dignità. Chiedere è una facoltà, negare è un diritto, ma la preghiera come supplica va riservata solo ai santi. E neppure davanti a loro ci si deve umiliare.

     Il dottore chiamò Deborah, le sorrise e poi sorrise pure a Luisa:

     “Va bene, signorina! Se lui dimostra di essere diventato un vero uomo, se non fa più il farfallone… e tu, Deborah, quel foglio, quella lettera non la battere, e se l’hai battuta, cestinala.”

     “Già fatto. Già cestinata. Lo sapevo che sei una brava persona.”

*     *     *

     Passarono gli anni.

     Deborah non si sposò perché non trovò mai un altro grande amore. Come aveva sospettato prima, si convinse poi che se il grande amore esiste, ne esiste solo uno e in genere è il primo. Non visse però da sola, ebbe relazioni temporanee,  ma sempre con questa sua regola: ‘Finché dura, e poi ognuno a casa sua’.

    Quando, nel 1996, l’ormai anziano dottor Monticelli si ritirò dal lavoro, rilevò lei lo studio commerciale e dimostrò una singolare attitudine  ad amministrare e dirigere. Trasformò la sua piccola impresa in s.r.l. e assunse la carica di amministratore. All’attività di consulenza strettamente commerciale aggiunse anche la consulenza assicurativa e finanziaria. Assunse altri impiegati e al ragioniere Derossi, che era ancora al lavoro, ma efficiente tranquillo e domo, assegnò la funzione di capo ufficio. Lo studio prosperò e divenne il più importante della città.

 

     L’Italia di fine secolo cambiava e dava più spazio alle donne manager. La piccola città in cui viveva e lavorava era però, ed è ancora, diffidente con le donne in carriera, perché è una città conservatrice pigra e maschilista, tuttavia Deborah ha saputo affermarsi ed è stata uno dei primi esempi di donna imprenditrice di successo.

*     *     *

     Come ho detto all’inizio, aprendo questo racconto, oggi Deborah è una donna moderna e realizzata, gestisce molto bene il suo studio e trova anche il tempo per gli amici e le attività sociali. In particolare nel gruppo di amici, che col tempo si è ampliato, lei è diventata l’organizzatrice ed è un vulcano di iniziative: feste, balli, conviviali, tornei, gite... Di recente le è venuta una nuova idea: organizzare il gruppo in un’associazione anche culturale. Ha mandato a tutti gli amici questa mail:

     “Cari amici,

in questo momento di grande confusione politica, sociale e  soprattutto etica, ognuno di noi sente il bisogno di capire.

Capire che cosa? Vorrei dire: tutto. Ma questo è impossibile.

Però è possibile, è desiderabile, affrontare qualche problema, eliminare un po’ di dubbi, trovare degli orientamenti. Permettetemi di citare Dante:

fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza.

 

     Ecco la mia proposta: costituiamoci in associazione culturale. Che cosa trattare, studiare, discutere, lo decideremo insieme. Incontriamoci nel mio studio martedì 24 novembre alle ore 16.

        Deborah

PS: ci sarà anche, per chi  lo gradisce, un ‘rinfresco’. Offro io.

 

*    *    *

     Alle ore 16 di martedì 24 novembre, nel sala grande dello studio di Deborah, insieme a lei c’erano Piero Derossi e la moglie Luisa, che avevano aiutato a preparare l’ambiente con sedie, blocchetti per appunti e penne a sfera. Era tutto pronto per una riunione di almeno 20 persone perché tanti erano i componenti del gruppo di amici.

     Però c’erano solo loro tre e aspettavano con un po’ di apprensione, consapevoli che, quando c’è da partecipare ad una riunione culturale, alla gente viene il mal di denti, o gli si ammala il cane o la vecchia nonna, oppure si è rotto un rubinetto e si sta allagando la casa, eccetera; le solite scuse prodotte secondo la fantasia di ciascuno.

     Nonostante che Deborah avesse contattato tutti anche telefonicamente e con il passaparola, nessuno era arrivato puntuale. Ma Deborah non disperava del successo della sua iniziativa perché sapeva che se l’argomento culturale non smuoveva certo la pigrizia e il menefreghismo, l’altro argomento, quello mangereccio, era molto stimolante. Sapeva anche che nella sua città rispettare l’orario era considerato sconveniente, roba da ‘secchioni a scuola’ oppure da ‘malati di precisite patologica’.

     Infatti, a partire dalle 16.15, cominciarono ad arrivare i primi, scusandosi di essere venuti troppo presto (a nessuno piace essere tra i primi, è una figuraccia), e chiesero subito dov’era il rinfresco. Qualcuno aveva proprio fame perché non aveva toccato più cibo dopo la prima colazione, in vista della sbafata promessa. Ma Deborah era una che sapeva stare al mondo e il rinfresco l’aveva preparato in un’altra stanza, ora chiusa a chiave, da aprire a fine riunione.

     Alle ore 16.30 c’erano più o meno tutti, anzi pure qualcuno in più, amico dell’amico, attirato  non certo da interesse per la cultura, ma dalla possibilità di sbafarsi qualcosa di buono. A questo punto Deborah, dopo alcune parole di saluto e ringraziamento, doverose, immancabili, anche se nessuno le ascolta mai, iniziò la presentazione dell’iniziativa:

 

     “Sarò breve. Vi prenderò solo qualche minutino. Noi ci conosciamo tutti bene, ci vediamo spesso per festicciole, gite e quant’altro… ma tant’è! Premetto che, parlando di problemi, non voglio fare di tutta l’erba un fascio…”

     Pausa.    

     “… avete notato quanti stereotipi verbali ho inserito in una breve frase di poco più che trenta parole? No? Bene, ve li elenco: ‘Sarò breve’ ‘minutino’ ‘quant’altro’ ‘ma tant’è’‘fare di tutta l’erba un fascio’.

     L’ho fatto apposta per entrare nell’argomento. Probabilmente nemmeno avete notato la bruttezza del mio discorso, perché siete abituati a sentir parlare così in televisione e talvolta anche a scuola.

     Questa tendenza ad usare parole stupide e frasi fatte è un difetto della nostra società. Peggio ancora, non solo si parla, ma si pensa per stereotipi. Ho l’impressione che nessuno ragioni, ma che tutti ripetano a pappagallo ciò che le TV e i siti Internet dicono copiandosi l’un l’altro, dando notizie senza conoscere i fatti e utilizzando parole che definire ineleganti è poco.

     Non so se avete notato quante volte i giornalisti dicono: “Sembrerebbe che…  potrebbe trattarsi… ci riferiscono fonti anonime, ma degne di fiducia (sic!)…”  Quanti condizionali e quanti “Si dice” per  mascherare la loro ignoranza dei fatti!

     Vogliamo provare noi, in modo libero e originale, ad approfondire le nostre conoscenze? non certo su tutto, questo è impensabile, ma su qualche argomento importante? Vogliamo dedicare qualche serata allo studio e alla cultura?

     Dunque organizziamoci anche formalmente e costituiamo un’associazione.”

     Pausa per vedere le reazioni. Alcune teste accennavano un timido ‘sì’, ma per lo più c’era una sospettosa perplessità. Uno, che stava nascosto nell’ultima fila, disse a voce abbastanza alta da farsi sentire da tutti: “Ma dove cavolo vorrà andare? Volete vedere che a Deborah la sua attività non le basta più e si mette a vendere libri? Ci proporrà di acquistare un’enciclopedia o un abbonamento a qualche giornale?”

     Deborah sentì, ma non replicò, sorrise e  riprese a parlare:

     “Ora vi faccio qualche domanda.  Conoscete almeno un po’, almeno vagamente, questi libri: la Divina Commedia’?  la Costituzione della Repubblica Italiana?  la Bibbia?  il Corano? Per rispondere ‘sì’ alzate una mano.”

     Tutti alzarono la mano.

     “Ora la domanda sarà più difficile:  Chi ha letto la ‘Divina Commedia’, tutta però?”

     Si alzò solo una mano, ma Deborah disse che la titolare di quella mano non contava perché era una insegnante di lettere.

     “Chi ha letto la ‘Costituzione’, tutta e attentamente?”

     Si alzò un’altra mano, ma nemmeno questa contava perché si trattava di un avvocato.

      “Non vi chiederò se avete letto la Bibbia o il Corano. Voglio dire se li avete letti completamente e approfonditamente. Non penso che qualcuno possa dire ‘sì’, perché qui non vedo un prete e non credo che ci sia un imam, magari in incognito. Però dato che in questo periodo si parla tanto di Islàm e di Corano, ecco un’altra domanda.  Che significa la parola ‘Islàm’?”

     Si alzò una mano, era di Benito, il cui nome indicava la sua inclinazione politica, o almeno quella del padre. Prese la parola orgoglioso di far vedere la sua preparazione:

     “Come ho letto sui giornali, Islàm significa etimologicamente ‘sottomissione’ ed è proprio quello che predicano e praticano gli islamici, che sottomettono le donne e vogliono sottomettere tutto il mondo. Ma se mi capita gliele canto io, e gliele suono pure.”

     Si alzò un’altra mano. Era Carla, soprannominata Carlamarxa per le sue idee:

     “Giusto, ma sbagliato. Perché Islàm vuol dire, sì, sottomissione, ma sottomissione al volere di Dio, chiamato Allàh. L’ho sentito dire in televisione da una ragazza velata che si capiva bene che sapeva il fatto suo e diceva… come diceva? Ah, ecco: “Allàh, il misericordioso”, proprio come dice Papa Bergoglio, che ha inventato la ‘misericordina’ e con la misericordia ci fa il giubileo. Poi ho controllato su Internet e ho avuto la conferma. Se ci pensate, sottomissione a Dio è ciò che affermano tutte le religioni, anche la nostra. Infatti lo dice pure la Bibbia…”

      La interruppe Benito, brutalmente, come si fa nei talkshow:

 “Allora, per essere precisi, devi dire che ‘islàm’ ha la stessa etimologia dell’arabo ‘salàm’ e dell’ebraico ‘shalòm’, parole che significano ‘pace’. Figurati un po’: PA-CE? QU-ELL-I? E poi non dire bestemmie citando a sproposito il Papa e la Bibbia. Tu l’hai letta la Bibbia?”

     “No, non tutta, ma qualche brano l’ho letto e ti assicuro che il Dio del Vecchio Testamento vuole proprio questo: la sottomissione a lui. E non era un tipo che scherzava, anzi quando colpiva, colpiva duro. Chiedilo ad Adamo ed Eva, chiedilo a Giobbe, chiedilo agli abitanti di Sodoma e Gomorra, chiedilo agli Egizi che furono colpiti tutti dalle piaghe mandate da Lui perché il faraone non si sottometteva. E poi pensateci: ma noi nel ‘Padrenostro’, che ce l’ha insegnato nostro Signore Gesù, non diciamo forse “Sia fatta la tua volontà”?  Il che significa proprio sottomettersi a quella Volontà. E non ci vedo niente di male…”

     Esplose un putiferio. Tutto parlavano, anzi sbraitavano, chi pro Benito chi pro Carla, chi contro tutti e due. Sembrava un talkshow televisivo.

     Deborah chiese e ottenne, ma a fatica, un po’ di ordine e riprese il discorso:

     “Vedete bene che ho ragione. Nessuno di noi è sciocco o ignorante, anzi Benito e Carla dimostrano di essere piuttosto informati. E gli faccio i complimenti. Però è anche vero che ognuno ha le sue idee, ma per sentito dire, senza aver verificato i testi. Quello che vi propongo è proprio questo: leggiamo il Corano e  anche la Bibbia. Sono testi scaricabili con il computer, gratis. Non li vendo io, come qualcuno di voi ha malignato poco fa.

     Se siete d’accordo, ci organizzeremo per una lettura insieme, oppure ci divideremo il compito e ognuno leggerà un brano e ci riferirà quello che ha letto, riassumendo i fatti e citando i passi importanti.

     E ora andiamo al rinfresco. Ci sono pizzette, panini di grasso e di magro per tutti i gusti, tramezzini e paste dolci, bibite, e anche moscato dolce e spumante secco.”

     Le ultime parole vennero accolte con un applauso perché un bel rinfresco mette sempre tutti d’accordo. Veramente non proprio tutti. Non certo gli islamici che rifiutano i salumi e gli alcolici, e neppure i vegani che disdegnano ciò che è fatto con carne latte uova. Ma lì  non c’erano né islamici né vegani.

Agostino G. Pasquali

 

 

    

 

    

 

 

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